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Un tunnel senza uscite?

Di Fiorenzo Iannino

Approntandomi a vergare qualche riflessione da offrire al nostro tradizionale annuario, mi ritrovo per l’ennesima volta a fare i conti con il mio incallito pessimismo politico: ancora non intravedo soluzioni alla fase di regressione in cui siamo impantanati da anni, se non decenni. L’uscita dal tunnel mi sembra lontana mentre l’imperante populismo mina dalle radici lo spirito e la struttura della nostra Costituzione, che va difesa nella sua natura di dinamico presidio di civiltà. Oltre allo squallido spettacolo offerto in questi giorni sulla vicenda del MES, penso al progetto di elezione diretta del presidente del consiglio, subdolamente presentato dall’esecutivo come un modesto e quasi innocuo correttivo all’attuale sistema politico-elettorale ma che in realtà lo vuole destrutturare senza prevedere l’introduzione di adeguati contrappesi e garanzie istituzionali. E che dire della proposta di autonomia differenziata che di fatto cancella il diritto all’uguaglianza e alle pari opportunità per le aree più deboli del nostro paese? Che fine farà il Mezzogiorno? E dove andrà l’Irpinia, sempre più povera e desertificata nella sua essenza sociale e produttiva? Il nostro territorio è depresso, demotivato, mortificato. Il senso di frustrazione e disincanto è avvertito soprattutto dai giovani, che ormai da lungo tempo non esitano a stabilirsi altrove nel mondo, mettendo a disposizione di altri il tesoro della propria vivacità intellettuale e professionale che non possiamo utilizzare localmente. Un desolante senso di vuoto si fa ogni giorno più pesante mentre rischiamo di sprofondare sotto i colpi di un ceto dominante che di patriottico offre davvero ben poco. *** Per la nazione ed ancor più per i nostri territori non serve la strategia spicciola ed asfittica della moltiplicazione degli interventi-tampone. Ce lo ha ben ricordato Gustavo Zagrebelsky, lo scorso sette ottobre: ‘Le ingiustizie e le tensioni non si governano indefinitamente con bonus, favori, sussidi, sconti, condoni, slogan, diversivi e propaganda per tacitare, ora qua e ora là, il malessere di questa o quella categoria quando minaccia di esplodere. Sono sedativi, insufficienti a governare. Occorrono politiche, non sedativi. Queste pratiche, oltre a denotare impotenza, alla lunga spengono le energie e riducono i cittadini in postulanti di favori, di vantaggi, di regalie o di mance’. La colpa non è solo dei populisti, che hanno sempre alimentato con convinzione questo stato di cose. La responsabilità risale anche ai sempre più rinunciatari movimenti e alle organizzazioni che dichiarano di incarnare gli ideali del progresso civile e della giustizia sociale. Anch’essi sono affascinati dall’idea che il politico debba sempre più agire da influencer autoreferenziale anziché sentirsi espressione di un ‘intellettuale collettivo’ (è questo, mi sembra, uno dei più concreti e duraturi lasciti del berlusconismo). Dovrebbero invece tornare a praticare un severo processo di selezione e cura della propria classe dirigente. Non si tratta di avere nostalgia per le antiche sezioni di partito, ormai consegnate alla storia, ma il confronto e la discussione non possono essere considerati un fastidioso lacciuolo che frena l’agibilità del leader di turno. Mentre sono messi in discussione i valori fondanti della nostra Carta, serve un patto di donne ed uomini per un rinnovato progetto di comunità, utile a rimuovere quel sentimento di diffusa indifferenza generato dall’annosa crisi dei sistemi di rappresentanza, che rischia di incancrenire irrimediabilmente le radici democratiche del paese.

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