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Una politica per l’immigrazione

 

In Italia le pensioni stanno saltando perché sono sempre meno le persone che lasciano il lavoro che quelle che lo intraprendono, con notevole contrazione dei contributi previdenziali. Le cause sono da un lato la crescente incapacità di produrre crescita e sviluppo, dall’altro la decrescente natalità. Così, nel medio e lungo periodo, il quadro economico rischia di diventare insostenibile. La situazione economica e la crescente povertà connesse alla penuria di strutture pubbliche per i bambini, non favoriscono l’aumento delle nascite Già questa sarebbe una ragione validissima per avere un approccio di tipo diverso verso il fenomeno, epocale ed irreversibile, dell’immigrazione. Gli immigrati, già ora con i loro contributi previdenziali, contribuiscono a pagare le pensioni di molti italiani. Chi non vuole l’immigrazione (e Salvini è un pessimo sociologo e un politico cinico) dà già per scontato il declino dell’Italia. Certo la crisi dovuta ad una immigrazione biblica di massa ed irreversibile è gravissima. Ma la parola crisi, secondo l’accezione giapponese più che cinese, è composta da due ideogrammi. Se il primo significa momento cruciale, emergenza, il secondo si traduce con i termine opportunità. Cosa vogliamo dire? Che se la crisi è gravissima e causa disagi sociali e sommovimenti, pur tuttavia, se sapremo gestirla, ne potremmo ricavare addirittura dei benefici. Certo l’immigrazione è una sfida e richiede coraggio e scelte forse anche impopolari, ma, soprattutto, richiede una rivoluzione culturale che non viene colta dalla classe politica. La scarsa e superficiale informazione finisce per far prevalere lo smarrimento politico, il disorientamento sociale e le proteste. Le parole di Papa Francesco sembrano venirci da un altro pianeta perché cadono in un contesto di sofferenza, di bassi salari, di scarsa fiducia nelle istituzioni e nel futuro dei giovani, di povertà crescenti e di disoccupazione giovanile intollerabile. In Italia le cose sono più gravi perché, pur essendo un popolo di accoglienza e di ospitalità (Lampedusa è un fulgido esempio!), non sappiamo e non facciamo nulla per governare il fenomeno, uscire dall’emergenza e gestire l’integrazione. Bisognerebbe convincersi, invece, che l’immigrazione è parte integrante del processo di crescita del Paese e che non si può andare avanti ancora con la legge Bossi Fini ed il reato di clandestinità; che in Italia, al di là dei proclami di Renzi, c’è poco cambiamento; che non si parla al Paese il linguaggio della verità. Da noi c’è solo il 2% di stranieri sulla popolazione residente rispetto alla Germania ed al Belgio che è al 9%, alla Francia che è al 6,3% ed alla Svizzera che è addirittura al 16%. Nel 2015, come riferiscono i recenti dati Istat, vi sono stati 130.061 residenti in meno (141.777 italiani contro un incremento di appena 11.716 stranieri e 485.780 nascite e 647.571 decessi): importiamo stranieri laureati ed ingegneri che si adattano a lavori umili e modesti, che gli italiani non vogliono più fare, ed esportiamo ricercatori che solo all’estero trovano un giusto riconoscimento. Di questo passo per l’Italia non ci sarà futuro! Occorrerebbe un salto di qualità e nuove idee! Per esempio un coraggioso piano nazionale che coinvolgesse attivamente i sindaci di tantissimi comuni in via di di estinzione, nei quali i terreni sono incolti e le case disabitate e con i 35 euro che passa l’Europa, inserire –con appositi bandi nazionali- molti stranieri, per es. rumeni ed albanesi e non solo, nell’attività agricola e nel piccolo artigianato, sotto il controllo dei sindaci (prendendo esempio da quello di Riace) e, dopo, qualche tempo cominciare a riscuotere il fitto. Se toglierebbero moltissimi immigrati dalle periferie delle grandi città e si darebbe un impulso allo sviluppo e alla crescita di tantissimi comuni che stanno morendo! E’ utopia? Mica tanto!
edito dal Quotidiano del Sud

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