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Una storia che divide

Tra il 25 aprile e il Primo maggio, meno di una settimana, la liturgia laica di primavera propone due date che dovrebbero unire tutti gli italiani attorno alla bandiera della Costituzione, la nostra Carta fondamentale, nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro. Per anni è stato così. La formula che delimitava il confine politico di quella appartenenza era detta “Arco costituzionale”, nel quale si riconoscevano partiti di diversa e anche opposta matrice ideologica, che si combattevano aspramente in parlamento e nelle piazze e si contendevano il governo dello Stato in tutte le sue articolazioni, ma si ritrovavano uniti nell’adesione a quelli che la Costituzione dichiarava “Principi fondamentali”, immodificabili per definizione. Formula retorica ma efficace e tutto sommato rispettosa della storia. Ora non è più così, e il paradosso vuole che proprio quando ben due referendum popolari – quello promosso da Berlusconi nel 2006 e quello di Renzi del 2016 – hanno nei fatti stabilito l’intangibilità della Carta, l’evoluzione della politica ha di molto attenuato il vincolo da essa derivante.

Lo si è visto in occasione del 25 aprile, la festa della Resistenza, ma anche dell’antifascismo, del riscatto nazionale e della ritrovata libertà: una festa contesa fra i due protagonisti della scena politica, a un mese esatto dall’appuntamento elettorale destinato a far da spartiacque alla legislatura. Ha fatto scandalo l’equiparazione fascisti-comunisti con la quale Matteo Salvini ha delegittimato le celebrazioni del 74.mo anniversario della Liberazione, salvo poi correggere in parte il tiro forse saggiamente consigliato dai suoi; ma anche la rapida riconversione dei Cinque Stelle ai valori della Resistenza appare quanto meno opportunistica, per un Movimento nato fuori dal sistema dei partiti e cresciuto in opposizione a tutto e a tutti, fino a dare il benvenuto anche ai neofascisti di Casapound. Il fatto è che non da oggi la critica alla retorica dell’”Arco costituzionale” ha contribuito a cloroformizzare i valori più genuini della Carta, banalizzandoli. Nel passaggio dal “popolo” ai “cittadini” si è smarrito il senso dell’adesione a un patto di convivenza civile, degradandolo a “contratto” di mera convenienza. Contro questa deriva conformistica si è speso il Capo dello Stato esaltando i contenuti morali e civili della rivolta antifascista.

Se il 25 aprile divide, è molto probabile che la scena si ripeta fra pochi giorni, quando la festa del lavoro sarà l’occasione per fare il punto sul provvedimento-bandiera del governo che ha l’imprinting dei seguaci di Beppe Grillo. L’esiguità del sussidio elargito ad un numero di richiedenti molto inferiore alle attese, svela il carattere assistenziale della misura adottata: insufficiente per combattere la povertà e finora priva delle norme necessarie per l’accompagnamento al lavoro. Insomma, un grande punto interrogativo. Il 26 maggio si vedrà se e quanto il Reddito di cittadinanza avrà contribuito almeno a risollevare le sorti elettorali di chi l’ha proposto e imposto all’alleato riluttante e al Parlamento; ma i sondaggi di questi giorni non fanno ben sperare; e intanto ci si divide su costi e benefici oltre che su eventuali altri impieghi delle somme stanziate.

di Guido Bossa

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