“Dobbiamo insegnare ai giovani ad essere liberi, perchè abbiano il coraggio di tornare qui e ripendersi la loro terra”. E’ l’appello che lancia Piero Mastroberardino, titolare della storica azienda vitivinicola irpina e docente universitario, nell’ambito della rassegna “Conversazioni in Irpinia” promosso dall’amministrazione provinciale e curato da Emilia Cirillo e Franco Festa presso la Biblioteca provinciale. E’ Festa a sottolineare come Mastroberardino rappresenti un intellettuale autentico, che ha scelto sempre la strada dell’autonomia di pensiero e di azione, lontano da qualsiasi carrozzone politico, nel segno di un percorso in cui l’impegno scientifico abbraccia quello umanistico di artista e scrittore.
Mastroberardino, da parte sua, si racconta senza ipocrisie, al di là di luoghi comuni e stereotipi e rivendica con forza il suo non essermi mai adeguato a correnti e schieramenti “Non voglio piacere a nessuno, non sono a caccia di like. Preferisco essere antipatico” ripete più volte. Non nasconde la sua amarezza per una realtà come quella irpina. “L’Irpinia rigetta i suoi figli quando smettono di chiedere e vogliono offrire qualcosa alla propria terra. Mancano amore e riconoscenza per questa provincia. La nostra è un’Irpinia senza radici, senza cultura e senza pudore. Troppo spesso si assiste a un gallinaio. A parlare su tutto sono coloro che non hanno minimamente idea di quello di cui parlano, come a proposto dell’idea del Docg Campania”. E ricorda la vicenda della presidenza mancata della Camera di Commercio “Per la prima volta la Camera di Commercio avrebbe avuto alla guida un imprenditore. Prima mi hanno chiesto di aiutarli, poi, quando si sono resi conto che per me con contava l’appartenenza politica mi hanno messo da parte. Tutta la politica era contro di me”.
E sulla proposta dell’assessore Nicola Caputo sul marchio Doc Campania “Non mi stupisce la proposta di un politico che vorrebbe candidarsi ad eurodeputato il prossimo anno”. E sottolinea come “Se si realizza un marchio Doc Campania, non dovrebbe avere alcun impatto sul Fiano di Avellino. Ma questo se si fosse portato avanti un lavoro di marketing legato all’identità territoriale. Un processo più volte annunciato dalla Regione ma naufragato e affidato solo alle forze degli imprenditori. Lo stesso Consorzio si è spaccato in due, la miopia di alcuni soggetti ha determinato la distruzione del peso politico dell’Irpinia”. Ribadisce come “Ogni giorno, dovunque vado promuovo la Campania e l’Irpinia, che sia Taiwan o il Nord America. Eppure ogni giorno mi attribuiscono frasi e idee che non ho mai pensato. Mi sembra che nella societò di oggi tutto sia bianco o nero, non c’è spazio per i colori”. Si sofferma a lungo sui giovani di oggi “Non devono percepire il territorio come una gabbia ma come opportunità. E’ chiaro che le nuove generazioni si formano in un contesto diverso e coltivano aspirazioni legate alla ricerca internazionale. Dobbiamo avere fiducia in loro, anche quelli meno bravi sono più bravi di come eravamo noi alla loro età perchè sono più aperti mentalmente. Al tempo stesso bisogna lavorare sull’attrattività di un territorio e sul legame con le radici, che possono restare salde anche quando si va all’estero”. Ricorda i sacrifici del padre che si alzava alle quattro del mattino “Ha compreso presto la mia propensione per l’approfondimento delle scienze sociali e non si è mai opposto alle mie scelte. Mi ha consentito di percorrere il mio cammino con la tranquillità di chi sa che le altre porte non si sarebbero chiuse”. E ricorda come dopo la guerra, il padre abbia preferito trasformarsi in società di rappresentanza di vini concorrenti pur di non licenziare il personale. E’ Emilia Cirillo a soffermarsi sulla vena letteraria e artistica che lo ha sempre guidato, sottolineando come l’incomunicabilità è centrale nei suoi romanzi. “Ho sempre scritto e conservato i miei racconti ma raramente mi rileggio. Certo è centrale il dibattito tra determinismo e libero arbitrio. Anche nei miei saggi di carattere economico sono molto attento allo scrittura”