Prima di partire nell’approfondire ogni ragionamento, bisogna tener presente un dato: negli ultimi 10 anni l’Irpinia ha perso 27mila persone*. Per intenderci, è quasi la metà degli abitanti di Avellino. Un’enormità e, se si sviscera caso per caso, si noterà che la maggior parte sono giovani in cerca di un futuro. O, semplicemente, di una speranza alla quale aggrapparsi. Quella irpina è una terra affetta dal morbo delle non soluzioni, che sfocia nell’emorragia di abitanti, in uno spopolamento a tratti irreversibile.
Quello che si è appena aperto è un anno ricco di impegni elettorali. Saranno chiamati al voto 42 comuni, tra i quali anche centri importanti come Montoro e Mercogliano. Ma la partita vera si giocherà ad Avellino. La data del voto potrebbe essere il 9 giugno.
Nel capoluogo irpino, molto lentamente, si stanno delineando gli schieramenti che si contenderanno gli scranni del Municipio di Piazza del Popolo: il Campo Largo con il candidato sindaco Benny De Maio, l’uscente Gianluca Festa e, il centrodestra che dovrebbe essere rappresentato dal giornalista Rino Genovese che ha criticato duramente il sindaco Festa – sancendo di fatto la sua discesa in campo? -. Una sfida nella sfida, tra politica e civismo.
Quel civismo incarnato dal primo cittadino avellinese che ha portato in un’altra dimensione la città. Più viva, allegra, ma senza una visione per il futuro. Che città vuole essere Avellino da grande? Quale il suo ruolo in una regione che sembra procedere senza il capoluogo irpino, costretto a raccogliere le briciole di Palazzo Santa Lucia?
È il momento del ritorno della politica, declinata al futuro, che programma, mostra una strada da perseguire. Da Ferragosto a Capodanno e viceversa c’è una voragine piena di problemi irrisolti, nella quale echeggiano le parole di Festa sui giovani “che ora decidono di restare”. Se si intende nelle festività, ha ragione in toto, perché si resta in città. Nei restanti giorni le intelligenze di tanti ragazzi e ragazze sono al servizio di altri territori, di aziende che producono ricchezza al Nord o all’estero, in ospedali che sono ben lontani dal Moscati.
Certo, la politica, qualcuno storcerà il naso. Quella con la P maiuscola, che non agisce al solo scopo di creare reti clientelari e svuotare qualsiasi ente produca ricchezza distruggendone i servizi. Quella politica che non vede negli occhi dei cittadini un’urna elettorale, ma le difficoltà della quotidianità di chi decide di restare e provare a vivere questa terra. Tanto bella quanto complicata.
Non esiste una ricetta, nemmeno una bacchetta magica capace di risollevare le sorti dall’oggi al domani. Ma la provincia, l’Irpinia tutta vive un momento di passaggio critico, delicato, e ha bisogno che Avellino torni ad essere capoluogo, traino di uno sviluppo concreto.
Chi avrà l’onere e l’onore di guidare la città, dovrà indossare occhiali nuovi. È solo cambiando paradigma, che si può immaginare un futuro per Avellino e la provincia tutta. Nessuno si salva da solo.