La libertà espressiva, al di là di confini ed etichette, è la cifra distintiva della sua musica, che fa del pianoforte strumento per attraversare generi differenti, dal jazz alla canzone d’autore. Classe 1988, Luis Di Gennaro vive a Mercogliano e rivendica con forza il legame con la sua terra, che non ha mai pensato di lasciare. malgrado le partecipazioni a festival di tutta Italia. Un talento, il suo, riconosciuto anche dai grandi, come attestano le collaborazione con musicisti e poeti di fama internazionale come Danilo Rea, Morgan, Franco Arminio, Cinaski, Dario Deidda, Stefano Di Battista, Mark Harris.
Chi è oggi Luis Di Gennaro?
Non ho mai smesso di sentirmi un artigiano della musica che studia, incide dischi e tiene concerti. Chi si avvicina all’universo della musica sa bene che deve formarsi, che lo studio è fondamentale. E’ importante, ad esempio, che anche i Conservatori si siano aperti al pop, che siano oggetto di studio i grandi cantautori e i maestri del jazz. Chi vuole vivere di musica può farlo in tanti modi, tenendo concerti, insegnando, promuovendo rassegne, ciascuno può trovare la propria strada. Quando ero un ragazzo, era tutto diverso, le opportunità erano poche. Era impensabile poter studiare jazz, ecco perchè mi sto perfezionando oggi al Conservatorio di Salerno grazie a maestri come Rino Zurzolo e Vincenzo Dainese, pronti a coinvolgere gli allievi in molteplici progetti. Appena poche settimane fa mi sono ritrovato a suonare con Giancarlo Giannini al Giffoni Film Festival
Come definiresti la tua musica?
Se penso alla mia musica, la immagino come una stretta di mano, che va diritta al cuore. E’ un modo per raccontarsi senza filtri, in un viaggio che parte dal jazz per approdare alla musica cantautorale. Non mi piace parlare di contaminazioni, preferisco il termine ‘ibridazione’ che consegna l’idea della materia che si organizza in una forma superiore. Nella mia musica ci sono i ritmi popolari dei pellegrini che salivano a Montevergine, i cori dei tifosi dell’Avellino allo stadio, il rock che mi ha fatto scoprire Michele Acampora, la musica dei cantautori che ho sempre amato e il jazz di personaggi come l’irpino Frank Guarente. Siamo il risultato di tutto ciò che abbiamo ascoltato
L’improvvisazione è sempre stata al centro delle tue performance
Tutto si ricollega al concetto di libertà. Era il 2004 quando, in occasione delle Notti del cinema organizzate ad Avellino, ho scoperto un artista come Danilo Rea, non credevo alle mie orecchie quando l’ho sentito improvvisare al piano sulle note dei Led Zeppelin e di Mina. Ho capito che era possibile suonare, senza barriere o etichette ed è la strada che ho seguito: nei miei concerti mi piace proporre brani di Battisti e poi improvvisare sui ritmi di Colasurdo o dei Beatles. E’ una libertà che emerge con forza anche da un disco come Libertà Provvisoria, registrato a casa con uno smartphone, nei mesi della pandemia, che raccoglie composizioni orirginali. Si tratta di brani trasmessi non solo in Italia ma anche in Francia e Messico. Malgrado ciò, non mi sento un compositore, la mia è una regia istantanea.
Hai all’attivo collaborazioni anche con poeti come Franco Arminio e Vincenzo Cinasky. Ti piace mescolare linguaggi differenti
Non mi piace abbeverarmi sempre alla stessa acqua. Amo, invece, l’idea di confrontarmi con artisti legati a linguaggi differenti come i poeti Franco Arminio e Vincenzo Cinasky, dal confronto tra universi diversi nascono sollecitazioni importanti. Ho sempre ammirato la determinazione di Franco, che ha fatto il maestro per anni, prima di ottenere i primi riconoscimenti ma non si è mai arreso. Per fortuna, ci sono personaggi come lui che incoraggiano i giovani, coinvolgendoli nei festival di cui sono direttori artistici. E poi sono particolarmente orgoglioso del disco realizzato con Marco Zurzolo ‘O fischio ca non fa paura”, in cui suono con lui nel brano “Come l’inno alla Vergine”
Le tue esplorazioni hanno riguardato anche l’universo del cinema con la relizzazione della colonna sonora del cortometraggio d’animazione “Exit”, con il quale hai vinto il Los Angeles Fest
Per noi irpini il cinema ha sempre avuto una valenza cruciale, siamo cresciuti a pane e Laceno d’oro, il cinema è uno degli strumenti ai quali dobbiamo la nostra formazione. Ho composto la colonna sonora del corto Exit, che ha vinto il Los Angeles Fest e ne sono orgoglioso, ma non è mai facile il rapporto con i registi. Osservo una scena e scrivo sulla base di ciò che immagini e dialoghi smuovono in me ma non sempre la mia idea coincide con quella del regista. Da parte mia, sono aperto a ogni genere di influenza, senza distinzioni tra cultura alta e bassa. A ottobre ho suonato a Nisida e ho eseguito anche brani di Geolier. Se i giovani lo ascoltano, vuol dire che si riconoscono nei suoi testi, nel suo modo di comunicare. E’ un fenomeno sul quale dobbiamo interrogarci.
Cerchi di portare la musica ovunque, nelle piazze, sui tram, nelle carceri
Mi piace l’idea di suonare nelle piazze con il mio pianoforte. Mi sembra un atto sociopolitico, che richiama la lezione di maestri come Pasolini che raccontavano la vita nelle borgate, che rivolgevano un’attenzione speciale agli ultimi. Del resto, i grandi musicisti jazz suonavano ovunque. E continuano ad esserci persone che non possono permettersi il biglietto di un concerto. E’ giusto, dunque, regalare a tutti le emozioni che solo la musica sa donare
C’è un concerto che ricordi con particolare emozione?
Si, il primo al Casino del principe, più di dieci anni fa, sulle note di De Andrè. Ricordo che arrivai in ritardo, mia madre mi chiamò per chiedermi dove fossi, poichè era tutto pieno. Non è facile conquistare il pubblico di Avellino, quando ho sentito gli applausi avevo il cuore in gola. Il 25 dicembre scorso mi sono esibito, invece, al Duomo ed è stata una nuova emozione. Nella mia città mi sento sempre sotto esame
Anche Dori Ghezzi ti ha invitato alla Fondazione De Andrè a Milano
Avevo tenuto un concerto su un tram di Milano dedicato a De Andrè. Dori Ghezzi aveva visto il video di quell’esibizione e mi ha contattato, dicendo che gli sarebbe piaciuto incontrarmi. Il giorno dopo sono partito per Milano, con tanto di sfogliatelle di Attanasio. Dori è stata premurosa e cordiale, ha ribadito di aver apprezzato molto la mia esibizione. Ricordo bene la dedica che mi ha lasciato su un libro, in cui mi ringrazia anche per le sfogliatelle Sono sempre rimasto in contatto con lei e la Fondazione. Del resto, considero De Andrè un maestro
Che cosa pensi dell’Irpinia oggi da un punto di vista musicale?
Credo si possa parlare di un grande fermento, di un vero e proprio laboratorio di idee e ritmi. Siamo forti, soprattutto quando la nostra musica guarda alle radici, penso alla ricerca dedicata ai ritmi popolari con artisti come Walter Vivarelli e band storiche. Ovviamente se si tratta di jazz, non abbiamo un grande tradizione, anche se personaggio come Vittorio Silvestri che vive in Francia o Carmine Ioanna, percussionista di fama internazionale, hanno ottenuto risultati straordinari. Sarebbe bello se nascess un movimento legato alla musica irpina come è accaduto con Pino Daniele e il Neapolitan power. Da questo punto di vista, artisti come Vinicio, Ghemon e Big Mama hanno una responsabilità importante, sta a loro decidere se scommettere su giovani talenti del territorio.
Prossimi progetti?
Dopo il concerto a Poggioreale per i detenuti del 41 bis e iconcerto al lume di candela nel chiostro di Palazzo Caracciolo in una serata omaggio a Pino Daniele sarò al festival della paesologia di Morigerati (Sa) e alla Luna e ai Calanchi di Aliano, in provincia di Matera. Spero di potermi esibire presto anche in Irpinia.