Questo Sud bello, tragico e violento, osservato speciale, ma non troppo, ha un cancro di più. Sono i ragazzi con la pistola, con mazze e coltelli, che disprezzano la vita, propria e dei dei loro coetanei, e non solo. Minorenni che affollano il regno della paura e fanno interrogare la società, quella stessa che ne è responsabile. In questo contesto la narrazione dell’omicidio consumato l’altro giorno nel centro di Napoli, uno fra i tanti avvenuti negli ultimi mesi, deve far riflettere. Il fatto. Emanuele Tufano, vittima per mano di un suo coetaneo, ha solo 15 anni. La scena dell’agguato è Corso Umberto, cuore della città attraversato da curiosi turisti che si addentrano nei vicoli e nelle viuzze del centro dove si custodisce un patrimonio storico di grande bellezza. Emanuele è incensurato, frequenta l’Istituto superiore Della Porta, ama i motori e desidera investire nel suo futuro sul mestiere di meccanico. E’ alla guida di un motorino quando viene raggiunto da un colpo di pistola, sparato da un quindicenne come lui, che gli trafigge la schiena. Era uscito da casa e si era dato appuntamento con un gruppetto di amici. Fanno parte della movida della Sanità, rione storico della metropoli napoletana tanto caro a Totò. Con i ragazzi armati fino ai denti di Piazza Mercato, luogo dove la storia ricorda l’impiccagione di Masaniello, ci sono vecchi rancori. E’ notte avanzata quando i due gruppi si scontrano. E’ una scena da Far West, così tragica da fare impallidire anche i film di Sergio Leone. Decine e decine di colpi di pistola vengono esplosi facendo sobbalzare la città che dorme. Sulla strada bagnata dal sangue giace il corpo senza vita di Emanuele. Il resto appartiene alle indagini degli inquirenti che scriveranno questa ennesima storia di baby gang. Oltre la notizia che desterà sgomento, probabilmente destinata a inseguirsi tra le tante voci di un Sud descritto nel suo aspetto tragico, la domanda che ci si pone è una sola: come fare a impedire, in una società che invecchia sempre di più e il cui futuro è dei giovani, questa carneficina, affinché i ragazzi, quelli delle movide e delle baby gang, non affollino più i cimiteri? Il problema è quello di capire cosa c’è dentro il salto generazionale tra ieri ed oggi, quale ruolo hanno avuto le agenzie sociali, le Istituzioni, la chiesa, la famiglia, le forze politiche e sindacali. Se si registra il loro fallimento dovuto ad una grande disattenzione negli esempi dati, oppure ci sia dell’altro che va, con urgenza, ispezionato.
Le reazioni
Puntuali, come sempre, arrivano i commenti, dopo che il Comitato per l’ordine e la sicurezza, convocato dal prefetto Di Bari, cerca per l’ennesima volta di ragionare sulla necessità di rafforzare un piano di sicurezza.
Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca narra con grande rammarico l’accaduto.
“A Napoli – afferma il governatore – abbiamo avuto la morte di un 15enne che si è trovato in una sparatoria. Stiamo assistendo a un’esplosione di violenza e microdelinquenza, in modo particolare a Napoli città. Credo che dobbiamo prendere delle misure straordinarie. Io proporrei un piano straordinario per realizzare la videosorveglianza in maniera massiccia su quasi tutto il territorio di Napoli, almeno sui grandi quartieri e le aree della movida”. De Luca poi ricorda: “Come Regione abbiamo già fatto un investimento negli anni passati, su 5-6 strade del centro storico, ma data la situazione credo che sarebbe utile e opportuno un piano massiccio per avere il controllo di tutte le principali strade e quartieri di Napoli”. Ovviamente, le cose fatte non sono state sufficienti se non hanno prodotto i risultati sperati. E dunque bisogna andare oltre agli elementi di dissuasione. Seguendo questo ragionamento il governatore della Campania aggiunge: “E’ chiaro che c’è un problema culturale e che riguarda le forze dell’ordine, di diffusione tra i giovani di coltelli e pugnali, ora siamo arrivati alle pistole. Non possiamo contemplare la situazione, dobbiamo prendere delle decisioni. Noi saremo pronti a finanziare un piano per la videosorveglianza in tutta la città”.
Sui dati allarmanti (4.576 delitti per ogni centomila abitanti nel 2023) si sofferma la senatrice Vincenza Aloisi che invita a riflettere “su una realtà che non possiamo più ignorare. Occorre avviare percorsi di educazione emotiva e di recupero di quei giovani che vivono in contesti difficili, garantendo loro opportunità di crescita”. Aloisi offre una via d’uscita: “Ritengo che occorre partire dai banchi di scuola perchè solo investendo nella formazione possiamo sperare di interrompere questo ciclo di violenza”.
“Siamo di fronte a una situazione da cui non vi è riparo, – commenta lo scrittore Maurizio De Giovanni – che riguarda tutti: istituzioni, scuola, genitori, ordine pubblico. E sarebbe un approccio errato localizzare il problema, che non è solo di Napoli o del Mezzogiorno”, aggiungendo che “si tratta di bambini, ragazzi di cui si serve la criminalità organizzata perché poi non sono perseguibili, ragazzi che inoltre davanti agli occhi hanno continui riferimenti alla violenza. Sento in queste ore giustamente di potenziamento della videosorveglianza e della presenza delle forze dell’ordine, condivido in pieno, ma è la cura del sintomo, non del problema alla radice”.
Per il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, “ci troviamo di fronte a una problematica che va affrontata con decisione. Avere tanti minori che spesso si muovono armati di notte ci preoccupa e richiede una notevole attenzione, mirata alla prevenzione”. E’ sufficiente? Certo, non mancano gli investimenti: “Le telecamere che sorvegliano il territorio, una organizzazione logistica specifica per la notte” dice Manfredi, che sposta il ragionamento dalla repressione ad un impegno sociale: “Capire realmente che cosa c’è dietro a questi eventi che fanno rabbrividire”.
Don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, è uno di quei preti abituato ad immergersi nella realtà. Ha una squadra che agisce nei quartieri con i cosiddetti preti di strada che si muovono tra non poche difficoltà. “Vorrei che questa tragedia – afferma don Mimmo – non passasse inosservata, che vi fosse un impegno da parte di tutti”. Il suo sguardo si rivolge alla scuola: “Prima di tutto vorrei che le scuole rimanessero aperte di pomeriggio per tenere i ragazzi impegnati”. Torna la domanda: che fare? “Serve un lavoro di sensibilizzazione, perché la violenza è dilagante. Noi adulti dovremmo interrogarci sul perché accadano simili episodi. Bisogna essere fattivi, è finito il tempo delle parole”. Appunto.