Sfiduciare Laura Nargi non conviene. Al massimo un rimpasto quando sarà il momento. Ma non subito. Perché oggi la sindaca è benvoluta politicamente da tutti per un fatto di convenienza. Ovvero, meglio lei che l’ex sindaco Gianluca Festa. Con lui a Palazzo di città sarebbe molto diverso, un’altra musica.
Sarebbe l’avversario di alleati e oppositori. “Ho cacciato i mercanti dal tempo”, ha detto. Lo ha scandito a Solofra, alla sua prima uscita pubblica da uomo libero, quando ha lasciato intendere che la sua crociata repulisti gli ha portato un sacco di pericolosi nemici.
Oggi per molti va bene Nargi, che governa cordialmente, spicciando l’ordinaria amministrazione serenamente.
Il bilancio consolidato è passato, votato da tutta la maggioranza e la fascia tricolore può stare tranquilla fino a dopo Natale. Gli assessori tecnici, esterni, qualcuno dice “estranei” nel senso di stranieri sono al lavoro con un mandato a scadenza.
Il rimpasto è inevitabile ma rischioso per tutti. Nargi dovrebbe cedere molti assessorati ai festiani. Marianna Mazza dovrebbe restare vice sindaco e nell’esecutivo entrerebbero i consiglieri comunali di Davvero e W la Libertà più votati: Tonino Genovese, Geppino Negrone, due storici stretti collaboratori dell’ex sindaco, e ancora Mario Spiniello, Jessica Tomasetta, Monica Spiezia, in forse Gianluca Gaeta.
In quota Nargi, rimane al suo posto l’assessore al patrimonio, contenzioso, personale e alla trasparenza Edoardo Volino mentre da consigliere fa il suo ingresso nell’esecutivo, Alberto Bilotta di Siamo Avellino.
Questa spartizione a suo vantaggio, impietosa nei confronti degli alleati è l’inderogabile condizione che ha dettato Festa. Non ci sarebbe spazio allora per Patto Civico di Rino Genovese, per Moderati e Riformisti del consigliere regionale Livio Petitto e per Forza Avellino di Angelo D’Agostino, coordinatore provinciale di Forza Italia. Eppure questo manipolo di alleati ha appoggiato – senza apparentamento – Nargi al ballottaggio e, per tale ragione, pare abbia chiesto tre assessorati, sperando almeno in due caselle, comunque una. Ma Festa ha risposto un no secco: zero.
Infatti è contro Patto Civico e company che si è scagliata la sua maggioranza. Insomma trovare la quadra è un’impresa. Nargi dovrebbe cedere a Festa.
Però non c’è fretta. Lo stesso Festa, terminati gli arresti domiciliari, era partito in quarta, sembrava già in campagna elettorale per riprendersi la fascia tricolore che considera ancora sua come conferma il risultato delle urne. Non può confinarsi in un angolino dopo essere stato protagonista assoluto di una stagione politica, nel bene e nel male. Ma dopo i fuochi d’artificio, dopo un verdetto della Cassazione più o meno favorevole, adesso il leader di Davvero ha abbassato i toni, non solo nell’attesa di capire come evolverà l’inchiesta: deve trovare il modo per giustificare un voto contro Nargi, convincere la città che una eventuale contrapposizione non è dettata da egoismo o egotismo politico ma da una serie ragioni che riguardano il prospero futuro di Avellino.
Insomma Nargi deve apparire come non all’ altezza del governo dei cinque anni di Festa. Poi forse l’ex sindaco proverà con un rimpasto e infine potrebbe ritirare il sostegno a Nargi entro febbraio così che la città potrà tornare alle urne in primavera. Festa deve capitalizzare il consenso perché seppure i suoi entrassero in giunta la sua forza da regista grande manovratore dietro le quinte, non sarebbe la stessa di quella di un leader politico di uomo delle istituzioni. Festa comunque non vuol tornare leader subito ma neppure troppo tardi.
Nargi va bene, E anche il Pd sta a guardare: con la sindaca si ragiona, con l’ex sindaco assolutamente non ci sarebbe margine di trattativa. Con Nargi, con un po’ di buonsenso, si può pure amministrare assieme, alcune proposte possono passare. Invece con Festa nulla da fare.
Per quanto può durare? Anche il centrosinistra deve farsi sentire, se non ora tra un po’, non troppo tardi altrimenti non sarebbe più opposizione e passerebbe l’idea che il tirare a campare è il risultato di un accordo, del consociativismo che sta bene a tutti tranne che alla città.