Venerdì 6 dicembre a Tufo, presso la sala del Comune, si è svolto il convegno “ S. Barbara e i minatori: tra fede e lavoro”. Sono intervenuti il sindaco dott.Nunzio Donnarumma, il consigliere comunale delegato alla Cultira prof. Cesare Carpenito, il parroco di Tufo Don Francesco Luca Russo, la prof.ssa Cecilia Valentino, autrice del libro” Le miniere di Tufo. La città sotterranea”. Ha concluso l’incontro S.E. Mons. Felice Accrocca, Arcivescovo Metropolita di Benevento. Pubblichiamo di seguito l’intervento di Cecilia Valentino.
Il mio lavoro Le miniere di Tufo. La città sotterranea risale al 2001 e raccoglie le testimonianze degli ex minatori delle miniere di zolfo e delle donne che lavoravano nei mulini, dove il minerale veniva ridotto in polvere per farne anticrittogamico.
Il libro, edito da De Angelis di Avellino con il patrocinio della Provincia e del Comune di Tufo, è illustrato dalle foto di Guido Giannini, fotografo napoletano che ha collaborato con molti giornali, da Il Mondo di Pannunzio al Manifesto.
Le miniere di zolfo si trovano nella media valle del Sabato, sono state sfruttate per circa 118 anni e nel 1984 furono chiuse. Le gallerie furono murate e solamente i mulini, dove veniva insaccato il minerale importato, rimasero in attività fino agli anni ’90 del secolo scorso.
Dalla fine dell’Ottocento l’industria estrattiva rappresentò un aspetto importante dello sviluppo industriale di una provincia povera del Mezzogiorno interno, caratterizzata da un’economia prevalentemente agricola.
Fin dal 1984, quando le miniere furono murate, gli enti locali hanno parlato di recupero degli edifici. Nel 1998 le miniere e i mulini furono acquisiti al patrimonio pubblico, ottenendo il riconoscimento della Soprintendenza BAAS a monumento storico di interesse nazionale.
Si pensò allora di realizzare un parco o un Cammino di Santa Barbara sull’esempio di altre regioni con importanti attività minerarie. Infatti a conclusione del libro scrivevo: “Ci auguriamo che si concretizzi il progetto di restauro …E’ auspicabile che si provveda al più presto a salvare dal degrado una struttura che potrebbe essere riqualificata ed entrare in un circuito di turismo culturale ed ambientale”.
Sollecitata dai tanti amici di Tufo, ricordo Sandor Luongo , Francesco Nigro, il sindaco di allora Carmine Campanile e tanti altri, l’elenco sarebbe lungo, decisi di ricostruire la storia delle miniere e poiché l’archivio e i documenti della miniera non erano consultabili, pensai di raccogliere le testimonianze dei protagonisti di quella storia: i minatori e le “molinare”, testimoni di un’epoca ormai lontana, molti di loro non sono più tra noi.
Accanto alle esigenze di storia orale, utile per salvare le testimonianze di chi ha lavorato in quella struttura, il senso di questo mio lavoro è stato la volontà di contribuire al recupero del patrimonio di archeologia industriale, rappresentato dai ruderi fotografati in modo suggestivo dall’obbiettivo di Guido Giannini.
Ho scelto la storia orale per parlare delle miniere di Tufo, perché mi interessava ricostruire un aspetto della vita del paese parlando con i protagonisti ed i testimoni di un mondo scomparso e che era ancora vivo nel ricordo degli anziani.
Questo mio lavoro, infatti, è la storia delle miniere attraverso il rapporto dei lavoratori con il proprio vissuto.
Venendo qui a Tufo con continuità sono entrata in relazione con le memorie e i ricordi di tante persone ed ho provato un sentimento di profonda adesione umana, perché la storia orale è l’arte dell’ascolto e della relazione.
Attraverso la storia orale si può scrivere la storia delle classi non egemoni, infatti la storia del movimento operaio e la storia delle donne si servono della fonte orale come strumento per ricostruire il vissuto dei ceti emarginati.
Molte testimonianze mi hanno emotivamente coinvolta: ricordo con commozione le parole di molti lavoratori, come Franchino Troisi, Cesare Carpenito, nonno del nostro amico Cesare, Berardino Zoina e tanti altri. Un ricordo particolare ho di Michele Grieco che mi ha dato una sua foto di quando lavorava in Belgio. La foto lo ritrae con il fazzoletto rosso al collo e sullo sfondo i pozzi della miniera e la scritta “Vive Saint Barbe”. E questa foto insieme a una bella foto del gruppo dei minatori da me intervistati vorrei farne dono al Comune di Tufo, come testimonianza di quel lavoro.
Molti minatori hanno parlato della dura esperienza di emigrante in Belgio nelle miniere di carbone e alcuni hanno ricordato il disastro di Marcinelle, nel 1956, fra le vittime vi furono molti minatori italiani e anche alcuni tufesi.
La cosa più interessante che mi ha spinto verso questo tipo di approccio sono state le interviste alle donne.
Voglio ricordare le donne che ho conosciuto con le quali ho avuto un bellissimo rapporto d’amicizia: indimenticabili Ciglia e Odemia Mordente, Evelina Molinaro e molte altre che, superata la timidezza iniziale sono state felici di ricordare la giovinezza, anche se per tutte sono stati anni di dura fatica e sacrifici.
Ho conosciuto la maestra Michelina Tartaglia che ha ricordato commossa gli anni in cui ha insegnato a Tufo. La maestra Tartaglia la ricordo ormai molto anziana ma lucida e sempre determinata, mi è stata di molto aiuto per testimoniare il ruolo importante avuto dalle maestre in una realtà dura e difficile qual era la vita nei paesi.
”I genitori mandavano i figli a scuola e ci tenevano che avessero un’istruzione. – ricorda Trataglia- Molte volte li mandavano anche se non avevano l’età , perché la maestra era vista come colei che poteva custodire i figli piccoli quando le mamme erano costrette a lavorare ai mulini.”
Dalle testimonianze emerge il ricordo di un paese vivace e popoloso e la miniera rappresentava un’importante risorsa: Era una vita di duro lavoro e pochi divertimenti, ma eravamo tutti più semplici ed allegri, ricorda un testimone che entrò in miniera a 13 anni.
Molti hanno ricordato il lavoro minorile, ragazzi di 12-13 anni che lavoravano ai mulini e anche in miniera, come manovali.
Le testimonianze delle donne sono state le più appassionate: nel ricostruire la loro vita, tante di loro hanno parlato della difficoltà di dover conciliare il duro lavoro con la propria vita di donne; alcune hanno parlato di lavoro minorile e di molestie subite, ma anche dei primi movimenti sindacali per difendere i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
“ Quando sono stata io ai mulini – ricorda commossa Ciglia – c’era il sindacato, eravamo unite e ci sapevamo difendere, ma ai tempi delle nostre madri la donna era schiava! Che sapiti che hanno passato e povere mamme noste! “
Il lavoro da schiave, come lo definisce Ciglia Mordente, era soprattutto quello delle donne che all’inizio del Novecento andavano a lavorare ancora bambine.
Ricorda infatti Franchino Troisi, addetto agli argani in miniera, che la madre cominciò a lavorare al vecchio mulino Lo Raio: “ Aveva appena 8 anni e per 12 ore doveva buttare con le manine il minerale già ridotto in piccole pietre nelle mole.”
La madre di Cesare Carpenito rimasta vedova con sei figli piccoli lavorava ai mulini : “ Era una vita di sacrifici, usciva alle sei del mattino e lasciava i figli soli, affidati alla vicina di casa.”
Molti dei lavoratori che ho incontrato hanno accettato subito di parlare e ricordare la loro dura vita perché dicevano: “ I giovani debbono sapere quanti sacrifici hanno fatto i vecchi per vivere e consentire ai figli una vita migliore “.
Certamente la fonte orale che ho utilizzato per questo mio lavoro potrebbe essere imprecisa, perché soggetta all’emotività del ricordo, ma a questo proposito voglio riportare le parole dello storico Sandro Portelli sul valore delle fonti orali.
Nel suo libro sulla storia delle acciaierie di Terni attraverso le interviste agli operai, Portelli scrive: “ Ciò che mi ha più coinvolto della storia orale non è la sua attendibilità, ma la frequenza e ricchezza di ricordi dove si addensa la funzione valutativa del racconto, il giudizio, il sogno, il desiderio…
Chiudo con una poesia tratta dal libro di Cesare Carpenito Sulphur, sull’alluvione nelle miniere del 1951.
La poesia fa parte di una sorta di Spoon River scritta dal Professore, l’io narrante del bel libro di Cesare.
La ditta De Muse pose…
…in memoria dei suoi eroici
minatori,
periti nel tentativo estremo
di salvare dall’allagamento
la Galleria Riscossa.
Una prece
va ai caduti,
il sacrificio dei quali
resterà scolpito nella collettiva
coscienza
con tratti di sulfureo coraggio.