“E’ necessaria una programmazione attenta per salvaguardare il Teatro cittadino. Altrimenti sarà difficile far quadrare i bilanci ed evitarne la chiusura”. Lo sottolinea con forza Mariagrazia Cataldi, già presidente dell’istituzione Teatro Gesualdo, nel corso della presentazione, alla Biblioteca Capone di Avellino, del primo volume dedicato ad Avellino e Salerno, edito dalla Società Napoletana di Storia Patria, dell’opera “I teatri della Campania” cura di Elio Coppola e Maria Rascaglia. “E’ chiaro che i teatri – prosegue Cataldi – svolgono un ruolo di rilievo nel rilancio delle città, contribuiscono ad accrescere la dignità e il prestigio di un luogo. Il Gesualdo era stato realizzato in piazza Castello, lì dove comincia il centro storico anche per rilanciare un’area troppo a lungo dimenticata. La sua apertura era stata salutata con entusiasmo da tutti. La scelta era stata quella di affidarne la gestione a una Istituzione chiamata innanzitutto a mettere a posto i bilanci. E’ quello che abbiamo cercato di fare con la guida del presidente Iannarone, puntando anche un’offerta variegata che riunisse teatro civile, teatro comico e prosa. Nei primi anni, la risposta in termini di abbonamenti è stata notevole. Avevamo cercato, inoltre, per rimpinguare le casse del Teatro, di aprire la struttura alle scuole di danza della città con una buona richiesta da parte di tutta la regione. Non è facile gestire uno spazio teatrale, bisogna garantire tanti servizi che sono a pagamento e cercare di intercettare i fondi regionali. L’istituzione Teatro Gesualdo non c’è più ma mancano strumenti e idee che garantiscano una programmazione seria, senza la quale sarà impossibile rilanciare il Comunale. Lo dimostra la situazione non facile che vive oggi il Gesualdo, testimoniata dal numero degli abbonamenti”.
E’ Renata De Lorenzo, presidente Società Napoletana di Storia Patria a introdurre il dibattito mentre Clelia Biondi del liceo statale Paolo Emilio Imbriani, ricostruisce la storia del Teatro Comunale, attivo dal 1817 al 1914, realizzato nell’incrocio di Corso Vittorio Emanuele. “Il teatro era percepito come strumento educativo, necessario per elevare il livello della cultura cittadina. Nasce quando Avellino, sotto la dominazione francese, è diventata capitale del Principato Ultra e si fa espressione del contesto socio-culturale del tempo, con la soppressione degli ordini religiosi. Anche il teatro di Avellino nasce in uno spazio come quello del soppresso ospedale dei Cappuccini nel segno del riutilizzo dei beni ecclesiastici, in una zona nevralgica, dove sorgeva anche l’Intendenza. Ad impreziosire il teatro saranno, poi, le decorazioni dei pittori avellinesi, Angelo e Cesare Uva, le decorazioni in cartapesta degli artigiani la “ribalta elettrica”, la prima scala in Europa a utilizzare questo sistema di illuminazione. Grande l’attenzione rivolta dai governanti alla salvaguardia e valorizzazione del teatro che conosce i primi interventi di restauro nel 1840. Lo stesso re sarà più volte presente agli spettacoli, offrendo suggerimenti e idee per rendere la struttura più innovativa. Il teatro comincia ad essere usato anche come sala da ballo con un fondale che crea un effetto illusionistico e accoglie opere contemporanee di prosa e celebrazioni di ogni tipo. Diventa sempre più parte della vita dei giovani, per i quali rappresenta l’unica forma di evasione e della storia della collettività”.
A trasformare profondamente il ruolo del teatro sarà la nascita del cinematografo “con la nascita – prosegue Bionci, autrice di uno studio dedicato al Teatro diAvellino – di sale private che accolgono ogni tipo di spettacoli. Mentre le amministrazioni che si alternano alla guida della città negano che il cinema entri a teatro Nel 1919 è ormai ridotto a un rudere”. Una storia che si interrompe nel 1923 quando il Commissario regio, Giulio Corradi, decide di vendere la struttura. A ricordarlo oggi una lapide all’ingresso di Palazzo Sarchiola”.
Tanti gli spunti di riflessione emersi dal confronto a partire dal ruolo del teatro come strumento di propaganda, diventato anche terreno di scontro politico, come dimostrerà la strenua difesa del teatro da parte del Rubilli ma anche il forte fermento culturale che caratterizza tutto il territorio irpino con la nascita di teatri a Solofra e Lauro, nell’entroterra. Dalla nascita dei teatri di legno, più economici all’apertura di spazi privati da adibire a sale teatrali, dal Teatro Umberto al Teatro della sala del Roma.
A soffermarsi sull’idea da cui nasce l’opera dello studioso scomparso Franco Mancini, suddivisa in cinque tomi, di cui solo il primo edito, Rascaglia “Questo libro rappresenta un vero e proprio censimento delle strutture teatrali in Campania e mette in evidenza come l’Irpinia abbia rappresentato una realtà significativa, sempre molto attenta al rapporto con Napoli. la cultura diventa strumento per vincere l’isolamento. Una vivacità culturale azzerata dal sisma dell’80 con i danni subiti dalle strutture e un forte rallentamento dell’attività culturale. Saranno, poi, le risorse post terremoto a determinare un’iniezione di fiducia con la nascita di consorzi e la volontà fare squadra, fino alla nuova battuta imposta dal Covid. Malgrado ciò, ci sono tanti i segnali positivi che si intravedono e fanno sperare in una sopravvivenza degli spazi teatrali, con la nascita, ad esempio, di multisale che non rinunciano, però, ad una stagione teatrale”