di Rosa Bianco
Sabato 14 dicembre, l’Irpinia ha dato voce alla sua anima, attraverso un evento, che è stato insieme celebrazione e riflessione: L’Irpinia si racconta. In un tempo di frammentazioni, questa terra ci ha ricordato che le radici non sono un peso, ma un trampolino verso il futuro.
Presso il caffè equo e solidale “Hope”, simbolo di solidarietà e condivisione, si è tenuta una serata che ha unito il respiro della cultura al battito delle persone. Il protagonista indiscusso è stato “Il Fondatore”, opera di Rino Cillo, un libro che ha saputo trasformarsi in una lente per scrutare l’identità collettiva irpina. Non un testo qualsiasi, ma un dialogo stratificato tra passato e presente, un invito a ricordare per ricostruire.
L’evento, moderato con grazia da Gianluca Amatucci, ha dimostrato che la letteratura è più di un esercizio estetico: è una forza generativa, capace di interrogare le coscienze e risvegliare comunità apparentemente assopite. In un’epoca che spesso ci vuole isolati, l’Irpinia ha offerto una contro-narrazione potente: un intreccio di storie, persone e voci che insieme gridano resistenza culturale.
Un luogo e un simbolo: il caffè “Hope”
La scelta di “Hope” come cornice non è stata casuale. Questo spazio, con la sua missione equa e solidale, rappresenta un microcosmo di possibilità: un luogo dove l’etica si sposa con l’estetica, dove le differenze si incontrano per generare nuove sintesi. È un messaggio in sé, un invito a costruire comunità non solo attorno alle storie, ma anche ai valori che le sostengono.
In un mondo spesso ostaggio di logiche consumistiche, l’Irpinia, con questo evento, si è affermata come una piccola rivoluzione: qui la cultura non si consuma, ma si coltiva. Non è uno spettacolo da guardare, ma una pratica da vivere.
Un libro come chiave per il futuro
“Il Fondatore” non è solo un libro: è un racconto polifonico sulla storia di San Guglielmo di Vercelli, fondatore del Santuario di Montevergine e del Goleto, che intreccia memorie personali e collettive, interrogando la nostra capacità di immaginare il domani. La partecipazione di figure come Maria Ronca, Gianluca Amatucci, Elvira Napoletano, Marco Cillo, la mia, in qualità di critica letteraria e di Carmine Marrone, musicista di pregio, che ha accompagnato la presentazione delle pagine più salienti da parte dell’ autore, con brani musicali d’eccellenza, quali Imagine di John Lennon, “Cammina cammina” di Pino Daniele, “My my hey hey” di Neil Young , “Vagabondo” dei Nomadi, “Blowin’ in the wind” di Bob Dylan, ha sottolineato la varietà e la ricchezza della narrazione irpina. Ciascuno ha portato un pezzo di sé, contribuendo a un mosaico, che è allo stesso tempo locale e universale.
La serata ci ha ricordato che il passato non è un museo, ma una miniera. La memoria non è nostalgia, ma uno strumento per ripensare il presente. In questo senso, l’evento non ha solo celebrato una cultura, ma l’ha resa viva, pronta a dialogare con le sfide di un mondo sempre più complesso.
La cultura come radice e orizzonte
Se c’è una lezione che L’Irpinia si racconta ci lascia, è questa: la cultura non è un accessorio, ma il cuore di una comunità. È ciò che tiene insieme le persone quando tutto il resto vacilla, un filo che lega passato e futuro in un abbraccio necessario.
L’Irpinia ha dimostrato, ancora una volta, che la cultura può essere una forma di resistenza, un argine contro l’indifferenza e il disincanto. E nel farlo, ha acceso una luce – una speranza, per dirla con il nome del caffè che l’ha ospitata – che illumina la strada da percorrere.