“Abbiamo scelto di partire da documenti inediti, molti dei quali provenienti dall’Archivio Borbone, per decostruire falsi miti e luoghi comuni legati al Risorgimento italiano e fare chiarezza su una pagina cruciale della nostra storia”. Spiega così Claudio Romano l’idea da cui nasce il volume “1860: La Verità” curato insieme ad Antonio Formicola, presentato questo pomeriggio all’Archivio di Stato di Avellino, nell’ambito del Ciclo di incontri “I giovedì della lettura”, fortemente voluto dal direttore Lorenzo Terzi. “Innanzitutto i garibaldini – prosegue Romano – non erano mille, né erano soldati sprovveduti, erano anzi ben equipaggiati e all’avanguardia sul fronte delle armi, a differenza dell’esercito borbonico, dotato di armi antiche. Inoltre, il Regno delle due Sicilie era un regno sovranocentrico, in cui tutte le decisioni erano assunte dal sovrano in prima persona e se il re non era esperto, erano destinate a un insuccesso. La figura dei consiglieri era stata annullata dal padre e i generali si limitavano ad eseguire gli ordini, di qui il fallimento dei processi contro gli ufficiali. A venire meno è anche l’idea del tradimento dei comandanti”. Romano si sofferma sulla figura di Francesco II “pavido e incapace di comprendere il pericolo alle porte, incompetente in ambito militare come dimostra il fatto che non aveva ammodernato le forze armate, né aveva rifornito il Regno delle due Sicilie di munizioni. La vittoria di Garibaldi a Calatafimi si spiega con il fatto che i Borbonici rimasero senza punizioni. Numerosi gli errori anche sul piano politico, se è vero che solo l’8 ottobre interromperà i rapporti diplomatici con il Regno di Sardegna quando era da oltre un mese a Gaeta e Garibaldi a Napoli. Proprio come si rivelerà sbagliata la scelta di nominare ministro Liborio Romano che era un liberale. Quando si renderà conto di quello che sta accadendo sarà troppo tardi”.