Rivendica con forza il carattere politico della sua scrittura Wanda Marasco, ospite questo pomeriggio, alla Libreria Mondadori, di un confronto dedicato al suo ultimo libro “Di spalle a questo mondo”, edito da Neri Pozza. Un confronto carico di spunti di riflessione, promosso dall’Accademia dei Dogliosi, con la partecipazione dei professori Fiorentino Vecchiarelli ed Ilde Rampino. “Una scrittura che si carica di una valenza forte – prosegue Marasco – proprio per la scelta del protagonista, Ferdinando Palasciano, ufficiale medico del Regno delle due Sicilie, che ha dedicato la sua vita alla medicina, benefattore e sognatore, deciso a curare anche i suoi nemici. Una figura che si fa metafora della scelta della verità. Poichè non ho mai smesso di essere una donna di sinistra, figlia di un papà socialista”. Si spiega così “l’attenzione rivolta ancora una volta al tema della follia e al suo rapporto con l’arte come già nel romanzo dedicato a Vincenzo Gemito”, sottolinea l’autrice. La vicenda ricostruisce gli ultimi anni dell’esistenza di Palasciano, a partire dalla crisi che lo coglie in via Toledo la notte d’Ognissanti del 1887, con il temporaneo ricovero nel manicomio di Villa Fleurent, fino alla morte, avvenuta quattro anni dopo.
“La Torre di Palasciano a Napoli – ricorda – è uno dei luoghi che hanno segnato la mia infanzia. Ho cominciato, poi, a studiare la figura del medico di Capua, sono stata sulla sua tomba e ho scoperto la scritta in cirillico che riporto nel romanzo: ‘Dio non respingere la sua anima sconvolta dalla crudeltà del mondo. Il male che era in lui non era il suo male, ma il male del mondo’. Non potevo non scriverne”. Spiega di aver sempre “subito il fascino degli archetipi di derivazione letteraria, sia poetica che teatrale, e ho sempre pensato che non esistessero pagine più belle di chi ha conosciuto sulla propria pelle il tema della scissione del sè. Penso a poetesse come Silvia Plath. Nella follia cadono tutte le maschere, l’uomo e la donna appaiono nei loro tormenti, nella loro nudità”. Si sofferma sulla scelta finale di Ferdinando e della moglie che decidono di trasformare la loro vita in gesto poetico, influenzati dalla visione leopardiana dell’universo. Un legame, quello con il poeta di Recanati, mediato dell’amicizia con Ranieri: “Ho scoperto – prosegue Marasco – che Palasciano fu molto amico di Antonio Ranieri, furono entrambi senatori della sinistra liberale. Infine, ispirata da un libretto di Loretta Marcon sul cosiddetto giallo della sepoltura di Leopardi ho immaginato che Ranieri affidasse a Palasciano e a sua moglie i resti del poeta”
Spiega come “ogni romanzo si deve scrivere come se fosse l’ultimo. I libri sono sempre una battaglia con la morte, costano sempre sangue. Non ho mai pensato di scrivere per il lettore medio ma per lettori sensibili che riescono a penetrare nel mio universo”. Parla di un tempo dominato da iniquità e conflitti, da poverta’ culturale prima che economica. Ricorda la fascinazione esercitata su di lei dalle figure che apparivano ai margini della società, “osservavo i mendicanti da bambina, avevo una misteriosa attrazione per l’oscurità dei bassi. Avrei sempre voluto vedere dove andavano, cosa facevano, se avevano un rifugio. Oggi, capisco che la povertà mi appariva spazio in cui si nascondevano verità abissali. Nel raccontare la povertà la scrittura si trovava a un bivio, se essere scrittura o santità laica”. E ribadisce come “i dettagli nella costruzione della storia siano al servizio dello stile, del modo di raccontarla”.