Sono tanti gli interrogativi e le speranze alla vigilia dell’inizio del Conclave, con l’universo non solo dei credenti in attesa di conoscere il nome del nuovo Pontefice. Nella mattinata di mercoledì 7 maggio, i cardinali elettori si riuniranno per la messa Pro eligendo Papa in San Pietro, presieduta dal decano del Collegio cardinalizio Giovanni Battista Re, prima di chiudersi nella Cappella Sistina e procedere con l’elezione. Il primo scrutinio è in programma domani pomeriggio alle 16:30. Tra i favoriti per l’elezione a Papa il segretario di Stato, Pietro Parolin, del presidente della Cei, Matteo Zuppi e del Patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa. Accanto a loro sono salite le quotazioni del filippino Antonio Luis Tagle e dello svedese Anders Arborelius. Abbiamo raccolto le riflessioni di due studiosi, particolarmente attenti alle trasformazioni della società e al ruolo della Chiesa.
“Tre riflessioni, talora formulate come interrogativi senza una risposta piena – spiega il filosofo Giovanni Sasso, presidente della Società Filosofica di Avellino – sono state presenti in me, nel tempo, in collegamento all’azione ed alle convinzioni di papa Bergoglio. La prima è relativa al suo agire. Il suo vissuto ci ha coinvolti e condotti ad un cristianesimo più convinto ed intimo. Egli si identificava con il tenace missionario gesuita. Figlio di immigrati italiani, integrati nell’Argentina della transizione dalla dittatura alla realtà del Mercosur e alla gestione del debito/svalutazione nazionale, prima ha prodotto frutti esemplari in patria e poi, da papa, nel mondo. La sua era un’etica dell’azione, dell’esempio e della gestualità. Egli ha dimostrato che i sacrifici, i valori di famiglia cattolica, il prodigarsi per gli altri con tenacia non erano stati solo necessari ed insostituibili nell’Argentina sconfitta ed umiliata nella guerra delle Folchland, nella resistenza alla dittatura, ma era doveroso comportarsi analogamente con l’umanità tutta, quella dei diseredati e degli emarginati, in un dopoguerra mai concluso. La dittatura del denaro e dello spreco andava combattuta con l’esempio del proprio vestito essenziale, della residenza nella comunità e delle scarpe pulite, lucide. La sua interpretazione – rifiuto della teologia della liberazione era espressa nella semplicità dei suoi gesti, nella pratica quotidiana della carità e nella espressione di umanità non formale con i carcerati e dei giovani da recuperare al Vangelo e alla coerenza sociale. Talora, di fronte alla semplicità, profondità delle sue parole, efficaci e significative se oggetto di riflessione, ci siamo chiesti: cosa ha voluto dire? Ma a cosa e a chi ha voluto riferirsi quando, per esempio, ha detto “spuzza”? perché è rimasto un legame affettuoso con il popolo napoletano per la scritta e l’augurio: “a Maronna t’accompagna”? La mia terza riflessione è collegata alla sua morte ed ai suoi funerali, nel cui contesto è sorta e rimane insistente la domanda: ma perché tanta affluenza e commozione? Ho supposto che la presenza di tanti non voleva essere una semplice comparsa, coincideva con la volontà di salutarlo, esprimere un dispiacere, consolarsi per essere rimasti orfani di un padre comprensivo, affabile, di una “presenza rassicurante e sorridente”. Se in quella piazza silenziosa c’è stata la risposta ammutolita al suo anelito alla pace, implorata, disperatamente costruita ed amaramente negata ed impossibile, quanto durerà questo effetto del suo magistero? Ci si chiede perché tanti giovani, perché il funerale nella giornata dell’anno santo degli adolescenti’? Suppongo perché egli è stato un vero maestro ed un consolatore; pur se lontano era avvertito vicino. Sappiamo che il vero maestro è quello che affabilmente ti guida, ti affianca, ti rassicura, non ti giudica, né ti comanda. Ti ricompensa con un sorriso anche quando sbagli. Quello è il momento da cui ripartire per rinascere. Speriamo che il conclave sappia designare un nuovo Papa, idoneo ad estendere e radicare nel mondo il risultato di questo magistero”
“”Sono molte e complesse le incognite che si affacciano all’orizzonte dopo l’intenso papato di Jorge M. Bergoglio, – sottolinea la professoressa Mirella Napodano, anima della Comunità Laudato si’ – che ha impresso alla Chiesa cattolica e al mondo intero una svolta culturale e spirituale senza precedenti, fondata su un’inedita chiave interpretativa della realtà, allo stesso tempo radicale e rivoluzionaria. Dotato di una visione multiprospettica, che gli derivava tanto dagli studi filosofici (nel 1963 aveva conseguito in Argentina la laurea in Filosofia) quanto dalla sua nazionalità extraeuropea, papa Francesco era in grado di raggiungere con sollecitudine pastorale ed immensa disponibilità dialogica sia le periferie del mondo che i potenti tecnocrati della terra. La sua è una visione pacificante, dominata dalla dottrina sociale della Chiesa (e non dal pauperismo) nella ferma convinzione che è dalle ingiustizie che traggono origine le guerre. Si tratta di una visione post-liberal order, che contesta il globalismo da diversi punti di vista. Del resto, la Chiesa cattolica – nella sua universalità – è globale da molto tempo prima dell’avvento del globalismo contemporaneo. Ed è proprio per questo coinvolgimento mondiale che essa viene a trovarsi al crocevia delle contraddizioni e delle emergenze più spinose e divisive del pensiero post-moderno e dell’attuale geopolitica. In un tale contesto, è abbastanza arduo immaginare quali potranno essere le prospettive future verso cui il successore di Francesco indirizzerà il proprio magistero, ma alcuni punti appaiono già prevedibili. Sul piano pastorale, le scelte innovative di Bergoglio hanno determinato una svolta epocale nella millenaria dottrina della Chiesa, in direzione di una coraggiosa presa di posizione per gli ultimi, gli scartati, che abitano le periferie dell’esistenza: quegli stessi che anche Cristo privilegiava, accettando tutti i rischi che derivavano da una tale scelta. Le ultime tre Encicliche di papa Bergoglio indicano un cammino coraggioso e impervio, ma perfettamente congruo con le situazioni di emarginazione sociale, nuove schiavitù e povertà educative di ogni tipologia che sono sotto i nostri occhi. Certamente, molti aspetti della nuova pastorale evangelica richiederanno approfondimenti teologici che papa Francesco ha appena delineato senza avere il tempo di elaborarli in forma compiuta e sistematica. Tra questi, sicuramente occorrerà proseguire nel conferire maggior dignità e funzione al ruolo delle donne nei Ministeri e nelle strutture ecclesiastiche, in cui alcune peraltro già operano con successo. Restano poi le incognite del post-Umanesimo, della geopolitica, con lo strapotere delle tecnocrazie e l’avvento dell’IA nella vita quotidiana dei credenti. Ma la Chiesa sa essere perennemente giovane, perché guarda all’eternità di un messaggio che è in grado di andare oltre l’orizzonte umano. Se mai, il problema sarà quello di adottare un linguaggio comunicativo adeguato ai tempi e all’uso delle tecnologie digitali, per favorire l’avvento di un nuovo Umanesimo integrale”