Molto amato dai tifosi, l’ex centrocampista di Avellino, Napoli, Milan e Reggiana, Nando De Napoli, combattivo, grintoso nel contrasto, non tralasciava di proporsi anche in fase offensiva, lasciando a Napoli un segno indelebile nell’era Maradona. Con il Napoli vinse due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana e una Coppa UEFA. Con il Milan, due scudetti e una Champions League. Disputò due Campionati Mondiali, Messico ’86 e Italia 90, e un Europeo in Germania nel 1988.
Nel campionato 1986-87 l’Inter di Giovanni Trapattoni cercò di insidiare la Juventus affidata alle cure del nuovo tecnico Rino Marchesi. L’ avvio del torneo vide la “Vecchia Signora” collocarsi subito ai piani alti della classifica. Al quinto turno venne però affiancata dal Napoli. Una squadra che il presidente Ferlaino, il direttore Sportivo Italo Allodi e mister Ottavio Bianchi, con un manipolo di “ragazzi terribili”, avevano costruito intorno a “Re” Diego Armando Maradona per vincere. Pochi credevano ad un’ effettiva candidatura al titolo dei partenopei. Anche quando alla nona giornata gli azzurri restarono soli al comando. Alla penultima di andata l’ Inter raggiunse il “ciuccio” in vetta ma il Napoli di Maradona, De Napoli e compagni, alla fine del campionato riuscì ad imporsi e dopo 61 anni d’attesa festeggiò il primo scudetto della sua storia. Fernando De Napoli, per tutti Nando, classe ’64, talento, grinta e determinazione da vendere, combattente nato, è stato fondamentale per gli equilibri del centrocampo partenopeo al fianco di Maradona. Le giocate dell’ex numero 8 del Napoli, semplici ed efficaci, oltre a ‘spezzare’ le trame di gioco degli avversari, illuminavano e favorivano le ripartenze del “Pibe de Oro”.
Qui di seguito, l’intervista a Nando De Napoli, gentilmente concessa al Corriere dell’Irpinia dal giornalista Giuseppe Zingarelli.
Grande propensione al sacrificio, instancabile propulsore del centrocampo, trampolino di lancio anche per gli avanti partenopei supportati da Maradona, lei è stato anche il più giovane calciatore del primo scudetto della storia nel Golfo.
“Avevo 23 anni quando il Napoli vinse il primo scudetto della sua storia. Fu un campionato straordinario. Un trionfo. Il 17 maggio 1987 è una data memorabile per Napoli, entrata nella storia della città. Il presidente Ferlaino, il ds Italo Allodi e mister Ottavio Bianchi costruirono qualcosa di magico. Sentivamo che quell’anno poteva essere una stagione in cui si poteva vincere e così è stato. Le difficoltà certamente non mancarono. Nel calcio vincere non è mai facile. Riuscimmo a farcela. Arrivammo a quota 42 punti, la Juventus giunse seconda. A Napoli scoppiò l’apoteosi”.
Tre anni dopo, nel 1990, la storia si ripete. Al timone del Napoli c’è Alberto Bigon. Andate subito in testa alla classifica. Provano a starvi dietro tutte, Juventus, Roma, Sampdoria, Inter e Milan. Per “Rambo” De Napoli arriva il secondo scudetto, con un giovane Gianfranco Zola che emette vagiti importanti come viceDiego nel settore offensivo.
“Sì. Chiudemmo il girone d’andata con tre punti di vantaggio sull’Inter, diventando Campioni d’inverno. Al giro di boa la tensione salì. Lottammo a denti stretti. Bigon tenne lo spogliatoio unito e concentrato. Dietro di noi il Milan. Alla fine di aprile fu di nuovo scudetto. Il secondo. Inutile negarlo. Sono momenti indimenticabili che ritornano alla mente. A volte riesce difficile trovare le parole giuste per descrivere quelle emozioni”.
Quel soprannome, “Rambo” ?
“Mi fu dato dai tifosi della dalla Curva Sud dell’Avellino. Anche quando c’era il sole il prato del Partenio era sempre bagnato, per cui a fine gara, spesso, si rientrava negli spogliatoi con le magliette imbrattate e il viso sporco di fango. All’epoca avevo i capelli lunghi e, un pò per la somiglianza fisica, poi per la combattività e la determinazione che mettevo in campo nel contrastare gli avversari, i tifosi mi chiamarono ‘Rambo’, dicendomi che assomigliavo a Sylvester Stallone, l’attore americano che nel 1982 interpretò il personaggio di John Rambo”.
Mi creda, i tifosi irpini non esagerarono affatto. Una certa somiglianza con il personaggio interpretato da Stallone c’è.
“Non lo nego. Un po’ gli assomiglio”.
Dove ha iniziato a giocare a calcio?
“Nelle strade del paese dove sono nato, Chiusano di San Domenico. Giocavamo in mezzo alla strada. In paese non c’era il campo sportivo. Le porte le facevamo con le maglie o le cartelle scolastiche e poi via a giocare sul cemento. Ricordo le sfide infuocate con gli amici”.
La squadra per la quale tifava da ragazzino?
“La Juventus. I ragazzini sono sempre affascinati dalle squadre che vincono e la Juventus in quel periodo vinceva sempre. In seguito non ho più tifato per le ‘Zebre’. Quando sono diventato ‘grande’ la Juventus l’ho incontrata molte volte da avversario”.
Il calciatore della Juventus che più la impressionò da ragazzino ?
“Giuseppe Furino. Era un po’ come me. Correva sempre e non mollava mai. Furino mi fa tornare alla mente quando giocavamo spensierati a pallone in strada, sull’asfalto. Quella per me è stata la felicità. Sono stato fortunato. Riconosco di aver vissuto un’infanzia felice e di aver respirato le cose semplici, le cose belle della vita. Il paese, gli amici, le partite in strada, i valori che la famiglia mi ha trasmesso, semplicità e umiltà. Per me sono stati importantissimi. Tutto questo davvero non ha prezzo. La cosa che più porto nel cuore e ancora oggi più mi emoziona è quella di essere stato scoperto giocando in mezzo alla strada e non su un campo di calcio. A Chiusano non avevamo neanche un campetto per giocare. È paradossale, ma è andata cosi”.
Un suo compaesano la segnalò ad un osservatore.
“Il signor Leonardo, di Chiusano, mi segnalò a Gino Corrado che mi portò a giocare in una squadra a Mercogliano, la Mirgia di Mercogliano. Qui venni segnalato all’Avellino. Un giorno il presidente dei ‘lupi’, Antonio Sibilia, venne al mio paese per portarmi all’Avellino e ci riuscì. Parlò con i miei genitori il cui desiderio era che io studiassi. Non avevo molta voglia di studiare, pur sapendo che lo studio è importante nella vita. Mio padre, sia pur con titubanza, su insistenza di Sibilia alla fine si convinse e mi lasciò andare. Firmai per l’Avellino. Avevo già deciso cosa volevo fare da grande. Il calciatore. Ci sono riuscito. Questa è stata per me una vittoria. Ecco, se da una parte so bene di aver deluso le aspettative dei miei genitori, dall’altra è anche vero che, con impegno e sacrificio, sono riuscito a farcela, riuscendo a diventare un calciatore e, attraverso il calcio, posso dire di aver regalato ai miei genitori qualche piccola ma bella soddisfazione”.
Ci è riuscito alla grande.
“La ringrazio”.
Il presidente Sibilia aveva visto giusto nel volerla a tutti i costi nel settore giovanile dell’Avellino.
“Diciamo che i fatti hanno dato ragione a Sibilia. Dopo la trafila nelle giovanili dei ‘lupi’, avevo 17 anni, con la squadra ‘Primavera’ giocammo la finale contro il Cesena. I romagnoli erano allenati da Arrigo Sacchi. L’ anno seguente Sacchi fu chiamato ad allenare il Rimini e mi volle in squadra. Con i biancorossi giocai 32 partite in Serie C realizzando due reti. Ricordo che a volte Sacchi mi sgridava. Voleva che migliorassi la posizione in campo e, per tal motivo, mi diceva di leggere libri di calcio ma io preferivo leggere i ‘Diabolik’. So bene che Sacchi lo faceva per il mio bene. Se ho imparato a stare in campo, a migliorare la posizione in campo, lo devo a lui. Sacchi mi ha insegnato tanto ma devo molto anche ad altri allenatori, Mario Facco, Pino Caramanno, Ottavio Bianchi, Fabio Capello, Carlo Ancelotti e, in Nazionale, devo ringraziare moltissimo Enzo Bearzot e Azeglio Vicini”.
Poi dal Rimini rientrò all’Avellino.
“Si. Ritornai a casa”.
Ad Avellino si attendeva il suo esordio in Serie A.
“All’epoca la guida del club era stata affidata a mister Veneranda. Lui puntava su giocatori esperti e non mi faceva giocare. Puntualmente mi mandava in tribuna. Seppi che la Salernitana, mi sembra all’epoca militasse in Serie B, si stava interessando a me. A quel punto pensai che Salerno potesse diventare la mia futura destinazione. L’ Avellino intanto non andava molto bene. La società decise di esonerare Veneranda. Al suo posto arrivò Ottavio Bianchi che mi mise subito in squadra facendomi giocare sempre”.
Un allenatore può decidere le sorti della carriera di un calciatore?
“Certamente. Non ci sono dubbi. Io devo moltissimo a Ottavio Bianchi. Se lui non avesse scommesso su di me la mia poteva essere un’altra storia. Io mi sono sempre fatto trovare pronto. Ovunque abbia giocato, serietà ed impegno non sono mai mancati”.
L’ 11 dicembre 1983, all’Olimpico, contro la Roma di Falcao allenata da Niels Liedholm, Ottavio Bianchi le consegna la maglia numero 11. È il giorno del suo esordio in Serie A.
“Quel giorno è tra i ricordi più belli della mia carriera. Forse il più bello della mia vita. Quel Roma-Avellino fu una partita molto combattuta. La Roma si portò sul 2 a 0 con una doppietta di Falcao. Noi riagguantammo il pareggio sul finire della gara, prima con Biagini e poi all’89esimo con Ramon Diaz. A quel punto, sinceramente, pensavamo di essere riusciti a portare a casa un punto importante per muovere la classifica. Lo scudetto delle ‘provinciali’ è la salvezza e noi dovevamo salvarci. Poi, al 90esimo, la doccia fredda. Subimmo il gol di Aldo Maldera. La Roma vinse il match e noi non avemmo neanche più il tempo per tentare una reazione”.
Da allora mister Bianchi la considerò un giocatore intoccabile e insostituibile.
“Sì. La mia maglia divenne la numero 4”.
Altri ricordi più belli della sua carriera?
“Sono legati alla Nazionale. l Campionati Mondiali disputati in Messico nel 1986 con Enzo Bearzot e il Mondiale in Italia, nel 1990, il famoso Mondiale delle ‘Notti Magiche’ con Azeglio Vicini in panchina”.
Nell’ ’88 il Campionato Europeo disputato in Germania Ovest.
“Arrivammo in semifinale, sconfitti a Stoccarda dalla Russia”.
Il Mondiale disputato in Italia nel ’90 era alla portata della Nazionale Italiana?
“Sì. Decisamente. Potevamo vincerlo. Ci è mancato, come si suol dire, un pò di buona sorte contro l’Argentina. Perdemmo ai calci di rigore”.
Nando De Napoli nella storia dell’Avellino. Lei è l’unico calciatore convocato in Nazionale con la maglia dei ‘lupi’ ad aver giocato un Campionato del Mondo. Un record ineguagliabile.
“Mi emoziona molto ancora oggi pensarci. Nell’ ’86 in Messico ero in stanza con Antonio Di Gennaro. Ricordo come fosse ieri quel Mondiale in Messico. C’ erano Vialli, Scirea, Bagni, Paolo Rossi, Bergomi, Bruno Conti, Altobelli, Cabrini, Collovati, Tardelli, nel ’90, invece, Carlo Ancelotti, Franco Baresi, Roberto Baggio, Totò Schillaci, Paolo Maldini, Zenga e Tacconi. I record sono fatti per essere battuti. Spero vivamente che qualche altro calciatore irpino riesca ad emergere dal settore giovanile dell’Avellino e ricevere una convocazione in Nazionale”.
Anche nel suo esordio con la maglia azzurra c’è il numero 11. Esordì infatti l’11 maggio 1986 con la maglia numero 11.
“Sì. Avevo 22 anni. Bearzot mi fece entrare al posto di Ancelotti all’inizio del secondo tempo, contro la Cina. Giocammo a Napoli e vincemmo 2 a 0”.
54 presenze e una rete in maglia azzurra.
“Una rete messa a segno di sinistro contro l’Argentina di Maradona a Zurigo. Era il 10 giugno 1987. Vincemmo 3 a 1. Diego era in campo. Fu un’amichevole di lusso. Con l’Argentina parlare di gara amichevole è soltanto un modo di dire. Le partite con la nazionale ‘Albiceleste’ sono sempre state molto accese”.
Cosa ha significato per lei la maglia della Nazionale?
“Un traguardo importantissimo. La maglia azzurra è stata per me il realizzarsi di un sogno. È stata come un amore importante. La maglia della Nazionale si ama. È simbolo di orgoglio per un calciatore. Con quella maglia addosso rappresenti il tuo Paese nel mondo”.
Due Campionati Mondiali e un Campionato Europeo disputati.
“Emozioni fortissime. Mi vengono i brividi. Quando si gioca un Campionato Mondiale si è al centro del mondo. Hai gli occhi del mondo puntati addosso. Il mondo ti guarda. È un’ esperienza unica per un calciatore. Di Mondiali ne ho giocati due. Che posso dire?. Sono contentissimo”.
Tre anni con l’Avellino in Serie A.
“Tre anni indimenticabili.”
73 presenze e tre reti. La rete più bella che realizzò con i “lupi” ?
“Quella alla Sampdoria. Calciai il pallone da lontano, di collo pieno, con grande potenza. Ero a circa 25 metri dalla porta ligure, defilato sulla destra. Il pallone si infilò all’incrocio dei pali e sorprese il portiere blucerchiato, all’epoca l’ex Inter ed ex Nazionale, Ivano Bordon.”
Molte squadre erano pronte ad acquistare il suo cartellino: Juventus, Inter, Sampdoria, Milan, Roma e Napoli. Fu Ottavio Bianchi a portarla alla corte di Ferlaino. Nelle casse dell’Avellino circa sei miliardi di lire.
“Bianchi mi volle fortemente al Napoli ed io scelsi il Napoli per una ragione ben precisa. Non volevo allontanarmi da casa. Molti pensano che la mia decisione fu dettata dal fatto che nel Napoli giocava Maradona. Non fu così. Poter tornare a casa, al mio paese, dove c’era la famiglia per me era molto importante”.
Nel Napoli 176 presenze e 8 reti. Con i partenopei lei ha giocato al fianco di calciatori del calibro di Careca, Alemao, Ciro Ferrara, Bagni, Giuseppe Bruscolotti, Bruno Giordano, Carnevale, Gianfranco Zola, tanto per citarne alcuni.
“Calciatori che hanno scritto pagine importanti nella storia del club biancazzurro. C’erano anche Moreno Ferrario, Francesco Romano, Garella, Francini, Renica, Luca Fusi, Massimo Mauro, Crippa, Corradini, il compianto Giuliano Giuliani in porta, Pecci”.
Al fianco del più forte giocatore della storia del calcio insieme a Pelè, Diego Armando Maradona. Chi è stato per De Napoli il “Pibe de Oro” ?.
“Un irripetibile genio del calcio. Maradona è andato oltre il calcio. Quello che ho visto fare a Diego in campo e in allenamento con un pallone non l’ho visto fare a nessun altro calciatore”.
Per la città di Napoli chi è stato Diego Maradona?
“Un monumento. Un simbolo in cui tutta la città si è specchiata e continua a specchiarsi. Come la torre Eiffel a Parigi o la Statua della Libertà a New York. Diego ha amato Napoli e Napoli ha amato e continuerà ad amare Maradona. Napoli e Maradona sono una solo cosa, inscindibili, inseparabili. Quando nel mondo si parla di Napoli non si può non parlare di Maradona e viceversa”.
Il suo rapporto personale con la “Mano de Dios”?
“Meraviglioso. Pensi, un giorno per rientrare a Chiusano Diego mi prestò la sua Ferrari”.
Un difetto e un pregio di Maradona.
“Un difetto è che a volte non si allenava, un pregio è che era molto generoso. Maradona era una persona buona, schietta, sincera. Diceva quel che pensava”.
Qual è stato secondo lei il gol più bello realizzato da Maradona con il Napoli?
“La rete siglata alla Juventus su calcio di punizione in area bianconera è stata quella che più mi ha impressionato. Eraldo Pecci gli appoggiò appena la sfera. Dal piede di Diego partì una traiettoria impossibile, una pennellata magica, un capolavoro balistico che lasciò di stucco Stefano Tacconi”.
Ha qualche rimpianto nella sua carriera agonistica?
“Ripensandoci bene forse sì. Anzi, certamente sì”.
Quale?
“Di aver tirato in porta poche volte. Avevo un bel tiro. Potevo sfruttarlo di più”.
Il suo miglior pregio?
“La serietà. È stata alla base di ogni cosa che ho deciso di fare nella vita”.
So che lei è molto devoto a Padre Pio da Pietrelcina.
“Sì è vero. Lo era molto anche mia nonna, lo era molto mio padre che oggi non c’è più e lo è molto anche mia madre, oggi 96enne. Pietrelcina, del resto, dista pochi chilometri dalla mia Chiusano di San Domenico”.
Maradona era devoto a Padre Pio?
“Diego era molto credente. Ho conosciuto personalmente anche i suoi genitori. Due persone gentilissime, semplici, umili, molto religiose. Padre Pio è conosciutissimo nel mondo. In Argentina lo e ancora di più”.
Lei si è recato a San Giovanni Rotondo a far visita al Santo?
“Sì. Molte volte”.
Maradona potrebbe essersi recato segretamente a far visita a Padre Pio?
“Questo non saprei dirglielo. Certamente Diego sapeva benissimo chi era Padre Pio”.
Con il Napoli, oltre ai due storici scudetti, lei vinse la Coppa Italia, la Supercoppa italiana e la Coppa UEFA.
“Ci aggiudicammo la Coppa Italia battendo l’Atalanta. Al San Paolo, oggi intitolato a Diego, superammo i bergamaschi per 3 a 0, poi, il 13 giugno 1987, vincemmo di misura anche la gara di ritorno, 1 a 0. La Coppa UEFA nel maggio ’89. Superammo lo Stoccarda in casa per 2 a 1, pareggiando in Germania, 3 a 3. Il 1° settembre ’90 vincemmo la Supercoppa italiana battendo 5 a 1 la Juventus”.
Nella finale di ritorno a Stoccarda, come ricorda il famoso palleggio di Maradona che, prima dell’inizio della gara, a tempo di musica, “Live is Life” degli Opus, incantò spettatori e calciatori avversari?
“Sembra ieri. Fu un palleggio talmente iconico da essere ormai entrato nella storia del calcio e nella storia del Napoli”.
Jurgen Klinsmann, ex Campione del Mondo ad Italia 90 ed ex calciatore dell’Inter, era in campo quella sera con lo Stoccarda. L’ attaccante di Goppingen dichiarò di essere rimasto letteralmente estasiato nell’ammirare l’asso argentino palleggiare divinamente in quel modo.
“Diego con il pallone tra i piedi era magia, poesia, incanto, spettacolo. Le parole non bastano a descrivere le sensazioni, le emozioni, la carica che lui sapeva trasmetterci in campo. Lo ripeto, sono una persona fortunata per aver giocato al fianco di Maradona e visto in che modo dava del tu alla sfera. In allenamento era solito intrattenersi sul campo più a lungo per migliorare la sua già stratosferica ‘confidenza’ con il pallone”. Diego è stato un fenomeno irripetibile”.
Nel 3 a 3 di Stoccarda, una sua sfortunata autorete e un suo cross all’indietro per il portiere Giuliani a tempo scaduto consegnarono ai tedeschi un platonico pareggio.
“A volte ci penso. Sul 3 a 1 per noi ci fu un tiro di Gaudino da fuori area. Il pallone rimbalzò sul mio piede destro e finì in rete, battendo inesorabilmente Giuliani. Sul cross all’indietro, a tempo ormai scaduto, sorrido e dico a me stesso che se lo Stoccarda pareggiò fu solo merito mio!”
Possiamo affermare che la rete più bella di De Napoli con la maglia partenopea è stata quella realizzata alla Juventus?
“Diciamo di sì. Calciai il pallone di potenza, da fuori area, con l’esterno destro, centrando l’angolo basso della porta bianconera. Una rete che segnai con la maglia numero 10.
È vero che un giorno l’avvocato Agnelli la chiamò di persona per portarla alla Juventus?
“Sì. All’inizio pensavo fosse uno scherzo. Poi mi resi conto che era tutto vero!”.
A quale calciatore si è ispirato nel corso della sua carriera?
“Lele Oriali”.
Qual è stato il calciatore che in campo l’ha messa più in difficoltà?
“Liam Brady”.
Dopo sei stagioni lasciò il Napoli. Nel 1992 il Presidente Berlusconi e Fabio Capello la vollero fortemente al Milan. Un trasferimento da circa sette miliardi di lire.
“In maglia rossonera ho vissuto il momento più difficile della mia carriera a causa dell’infortunio al ginocchio. Capello non ebbe molta possibilità di utilizzarmi al fianco di Demetrio Albertini. L’ obiettivo di un calciatore è giocare. Non poter scendere in campo, specie per malanni fisici, raddoppia la sofferenza”.
Con il Milan nove presenze. È comunque al fianco del fantastico trio della meraviglie, Ruud Gullit, Franklin Rijkaard e Marco Van Basten, vincendo due scudetti e una Champions League.
“Aver giocato con Gullit, Rijkaard e Van Basten è stata un’esperienza fantastica. Hanno esaltato la qualità del gioco del Milan. Non dimenticando di aver giocato anche con altri campionioissimi, ne cito alcuni, Franco Baresi, Paolo Maldini, Gianluigi Lentini, Roberto Donadoni, Alberigo Evani, Alessandro Costacurta, Mauro Tassotti, Daniele Massaro, Sebestiano Rossi, Brian Laurdrup”.
Poi il trasferimento alla Reggiana del Presidente Luciano Fantinel.
“A Reggio Emilia disputai tre stagioni. Due in Serie A ed una in Serie B. Con la maglia della Reggiana il primo anno ebbi Ancelotti come allenatore ed incrociai ottime individualità, penso a Futre, Gregucci, Brambilla, Aguas, Grun, Tovalieri, Simutenkov, Sabau, Oliseh, Padovano, Gigi De Agostini. Il ginocchio continuò a darmi problemi. Non recuperai più la sua piena funzionalità. Ho smesso di giocare nel ’97. Reggio Emilia mi è sempre piaciuta moltissimo. La città, la gente, l’ambiente. Decisi di stabilirmi a Reggio Emilia”.
Per quanto tempo?
“Circa 25 anni. Ho lavorato anche con la Reggiana in qualità di Team-Manager. Poi aprii un negozio di articoli sportivi a Molinella in provincia di Bologna e, sempre nel bolognese, a Vergato, gestii con un socio un’ enoteca. Qualche anno fa sono rientrato a Chiusano. Ho lavorato anche nel settore giovanile dell’Avellino”.
Il Napoli di Antonio Conte il mese scorso si è laureato per la quarta volta Campione d’Italia. Riuscirà nella prossima stagione l’allenatore pugliese a difendere il titolo?
“Sono sicuro che Conte farà il possibile per confermarsi e portare il Napoli a lottare per il quinto scudetto. È nel suo stile, nel suo carattere, nel suo dna. Ha un contratto triennale con la società. L’ acquisto di De Bruyne, uno dei centrocampisti più forti della sua generazione, ha destato molto entusiasmo in città e nei tifosi. È anche vero che il Napoli nella prossima stagione sarà impegnato su più fronti. Dovrà affrontare gli impegni di Champions, per cui dovrà gestire al meglio il proprio organico. Il prossimo campionato si prevede molto agguerrito con molte pretendenti al titolo”.
Anche l’Avellino quest’anno è stato promosso in Serie B. Potrebbe tentare il salto in Serie A?
“Biancolino ha avuto il grande merito di essere riuscito a centrare la promozione dopo un inizio campionato molto stentato. Sono prudente. Occorre prima pensare a salvarsi. La Serie B è lunga, impegnativa, piena di insidie”.
Qual è il suo hobby preferito?
“Amo moltissimo il contatto con la natura. Quando mi è possibile me ne vado a raccolgliere funghi in campagna”.
Il suo pensiero sul calcio attuale?
“È cambiato moltissimo rispetto ai miei tempi. Nuove tattiche, nuovi schemi, gli impatti della tecnologia. Si gioca con una frequenza impressionante”.
Cosa rimpiange di più rispetto al tempo in cui giocava?
“L’ odore dell’erba vera. Ci sono impianti che hanno il terreno di gioco in erba sintetica. Ad esempio il Partenio. L’ odore dei filamenti in polietilene è ben diverso dall’odore dell’erba naturale”.
Cosa direbbe ai giovani che sognano di diventare calciatori?
“Che per arrivare nel calcio ci vuole, impegno, sacrificio, dedizione. Occorre saper ascoltare i consigli degli allenatori e metterli a frutto con grande serietà e professionalità. Nel calcio perdersi è facile.
Qualche giorno fa il presidente Gravina ha chiamato Gennaro Gattuso a sostituire Spalletti alla guida della Nazionale. Riusciremo ad andare ai Mondiali?
“Sono ottimista. Rino Gattuso ha una forte personalità. Ha le carte in regola per ricostruire e ricompattare lo spirito della squadra, lavorando sulla ‘testa’ dei calciatori dopo le recenti delusioni”.
Quale calciatore reputa insostituibile per il gioco della Nazionale?
“Nicolò Barella”.