Stefano Carluccio
L’Irpinia è una terra che ha conosciuto la povertà per gran parte della sua storia. Fino agli anni Sessanta, l’economia locale era basata quasi esclusivamente sull’agricoltura di sussistenza e sull’emigrazione. Poi è arrivata la stagione dell’industrializzazione leggera e, dopo il sisma del 1980, un lungo periodo di ricostruzione e sviluppo assistito. Ma negli ultimi vent’anni, con la crisi dell’industria meridionale e il ridimensionamento dei servizi pubblici, l’Irpinia è tornata a fare i conti con una povertà profonda e diffusa, che oggi si presenta sotto forme nuove e meno visibili.
Secondo l’Istat, nel 2023 il tasso di povertà relativa in Campania ha raggiunto il 30,5% delle famiglie, uno dei valori più alti in Italia. In provincia di Avellino, le stime locali parlano di almeno un quarto delle famiglie con un reddito insufficiente a coprire le spese essenziali. Il Censis ha indicato l’Irpinia come una delle aree interne più a rischio di impoverimento strutturale, a causa della fragilità del mercato del lavoro, dell’invecchiamento della popolazione e della perdita costante di abitanti giovani.
In questo contesto, le richieste di aiuto ai Comuni e alla Caritas stanno cambiando sia per tipologia sia per profilo dei beneficiari. Se un tempo l’intervento si concentrava su situazioni di povertà estrema o marginale, oggi sempre più persone “normali” – con una casa, un lavoro, una famiglia – si trovano improvvisamente in difficoltà economica. La Caritas di Avellino ha segnalato nel 2024 un aumento del 18% delle richieste rispetto all’anno precedente, con una crescita marcata nei casi legati a morosità incolpevole, difficoltà a pagare affitti, bollette, spese sanitarie e scolastiche.
La cosiddetta “povertà lavorativa” – cioè l’impossibilità di vivere dignitosamente nonostante un’occupazione – è in crescita. Il lavoro precario, i contratti part-time involontari e il basso livello di qualificazione professionale contribuiscono a rendere insostenibile la gestione della quotidianità. Secondo un’indagine condotta da SVIMEZ, oltre il 45% dei lavoratori under 35 nel Mezzogiorno guadagna meno di 1.000 euro netti al mese, mentre i prezzi di beni essenziali come alimentari, energia e trasporti sono aumentati in media del 12% dal 2022 al 2024.
I Comuni irpini, in particolare quelli delle aree interne e montane, segnalano un aumento esponenziale delle richieste di contributi economici straordinari. I fondi di solidarietà sociale, spesso limitati, si esauriscono già nel primo semestre dell’anno. Molti municipi sono costretti a selezionare con criteri restrittivi i beneficiari, lasciando scoperte situazioni di reale emergenza. In parallelo, cresce il numero di famiglie che ricorrono ai centri di ascolto Caritas, dove trovano non solo pacchi alimentari, ma anche orientamento burocratico e supporto psicologico.
A preoccupare è anche il profilo delle nuove povertà: nuclei familiari con figli, coppie giovani, lavoratori autonomi in crisi, anziani soli. L’indice di dipendenza strutturale (cioè il rapporto tra popolazione inattiva e popolazione attiva) in provincia di Avellino ha superato nel 2024 il 63%, segno di uno squilibrio crescente che grava sui redditi familiari. In alcune aree dell’Alta Irpinia, interi comuni hanno perso il 40% della popolazione residente negli ultimi trent’anni, e oggi si reggono su pensioni minime e redditi assistiti.
Anche la Caritas ha adattato il proprio approccio. Accanto alla distribuzione di generi alimentari e vestiario, si sono sviluppati servizi innovativi come il microcredito sociale, i corsi di educazione finanziaria, e gli sportelli di pronto intervento sociale, capaci di attivare aiuti in tempi rapidi. Tuttavia, la mancanza di personale e di risorse stabili limita l’efficacia di molte iniziative. In particolare, l’assenza di un coordinamento provinciale tra enti pubblici e terzo settore rende disomogenea l’offerta di supporto, con forti disparità tra i comuni più grandi e i piccoli centri montani.
Le nuove povertà coinvolgono anche immigrati regolari, spesso impiegati in agricoltura o in lavori stagionali senza tutele. In molti casi vivono in condizioni abitative precarie, con affitti in nero e assenza di accesso ai servizi. A queste vulnerabilità economiche si aggiungono barriere linguistiche e culturali che rendono più difficile l’inclusione sociale e la conoscenza dei propri diritti.
Alcune realtà locali stanno sperimentando progetti alternativi per rispondere alla nuova domanda sociale. Tra questi, empori solidali dove le famiglie possono “fare la spesa” gratuitamente scegliendo i prodotti in autonomia; orti urbani per coinvolgere disoccupati e anziani; reti civiche di mutuo aiuto attivate spontaneamente nei paesi più dinamici. Ma si tratta ancora di esperienze isolate, non integrate in una visione strategica di contrasto alla povertà.
Il rischio è che, senza un intervento strutturale e coordinato, le nuove povertà diventino parte del paesaggio sociale irpino. La sfida è riconoscere che la povertà oggi è più diffusa, più fluida e più silenziosa. Non si manifesta solo con l’indigenza estrema, ma con l’impossibilità di affrontare un imprevisto, con la rinuncia a cure mediche o a spese educative, con la solitudine di chi non ha più reti su cui contare.
Raccontare la nuova povertà in Irpinia significa accendere un riflettore su un fenomeno in crescita, che interroga la politica, le istituzioni e le comunità locali. Serve una nuova alleanza sociale, che metta insieme competenze, risorse e visione per restituire dignità, opportunità e futuro a chi rischia di restare indietro.