“Gaza oggi non esiste più. E’ stata rasa al suolo. Israele ha distrutto tutto ciò che era stato costruito in quei territori. E’ in atto un crimine nei confronti di un popolo. Un processo cominciato da tempo, che negli ultimi cinque mesi ha subito un escalation con i palestinesi privati di acqua e cibo”. Lo sottolinea con forza Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi nel corso del confronto organizzato dall’Arci Avellino, nella cornice dell’Eliseo, per presentare il suo libro “Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestina”. Spiega come ” E’ un obbligo legale e morale, per ogni Stato che possiede un porto nel Mediterraneo, sia esso arabo o europeo, inviare navi con aiuti umanitari”. A introdurre le parole di Francesca è Rosanna Maryam Sirignano, esperta di cultura islamica, che pone l’accento sul valore di un incontro che diventa un gesto collettivo e politico “Peccato che non ci abbiano ascoltato quando eravamo noi a denunciare quello che stava accadendo nei territori della Palestina. Ma è importante che oggi sia partita una mobilitazione dal basso, una rete che mi fa sentire nel posto giusto”. Sulla stessa linea Stefano Iannillo di Arci che parla di un incontro che rappresenta “il culmine di una mobilitazione portata avanti negli ultimi due anni per mantenere viva l’attenzione sulla tragedia del popolo palestinese”. Ricorda la necessità di continuare a battersi per i diritti universali, “che non possono dipendere dalla nazionalità e dal colore della pelle”, sottolinea come “Il cibo è diventato strumento di guerra con i palestinesi costretti a vivere di stenti, uccisi mentre cercano di accaparrarsi un po’ di farina. Un sistema voluto dai potenti, dai grandi poteri dell’economia, sostenuti dal nostro governo”. Mentre Francesca Coleti di Arci Campania pone l’accento sul racconto di Francesca capace di restituire a un popolo la sua umanità e individualità, attraverso una narrazione che ci ricorda sempre come sia netta la differenza tra oppressi e oppressori.
Il racconto di Francesca è lucidissimo e insieme carico di passione, ad accoglierla in una sala gremita in ogni ordine di posto applausi scroscianti. Lei non usa mezzi termini: “Trovo ripugnante – spiega – il fatto che molti governi ricorrano a una vana retorica. Si torna a parlare della soluzione dei due Stati. Ma dopo 33 anni di un processo di pace fallito, bisognerebbe chiedere ai palestinesi e agli israeliani che riconoscono la possibilità di vivere insieme in che tipo di Stato vogliono vivere”.
Un embargo sulle armi: basta con le armi a Israele.
Non ha dubbi Albanese “Per risolvere l’emergenza umanitaria, non si può non ripartire dall’embargo sulle armi. E’ vergognoso che Paesi come l’Italia, tramite la società Leonardo – che spero prima o poi venga portata in giudizio – siano complici di atti gravissimi. Non possiamo dimenticare che Leonardo è un’azienda italiana con una partecipazione statale superiore al 30% e che lo Stato italiano continua a offrire protezione politica e sostegno a Israele. Il crimine in atto nei territori palestinesi si può fermare solo con l’embargo e con le sanzioni, quelle stesse che sono state imposte alla Russia che ha invaso l’Ucraina e al Sud Africa per contrastare l’apartheid. È giunto il momento di tornare alla legalità”.
L’abbraccio dell’Irpinia
Si dice orgogliosa della solidarietà manifestatale dall’Irpinia con tanti comuni che hanno riconosciuto lo Stato di Palestina e le hanno assegnato la cittadinanza onoraria. Ricorda l’avvocato Giuseppe De Maio, più volte al fianco della sua famiglia “E’ anche per questo che sono qui oggi”- Spiega come “Mi fanno piacere queste attestazioni di affetto, perché sono espressione di un movimento di cittadinanza attiva. Sarebbe bello se tanti giovani si dedicassero alla causa della Palestina, perchè chi ha compiuto crimini sia messo con le spalle al muro. La mobilitazione a cui assisto non è solidarietà passiva. Tante persone comuni mi chiedono se possono contribuire in qualche modo a mettere fine al genocidio e sono convinta che ciascuno può fare la propria parte. Al di là di un governo che ha seri problemi di conformità alla Costituzione e di rispetto della legalità, a livello comunale, provinciale, regionale e individuale, si è creata una fitta rete di persone che vogliono difendere i diritti dei palestinesi. E ciascuno può piantare un piccolo seme. Basta fare attenzione a chi è il vostro assicuratore, a dove investite i vostri risparmi, a quali prodotti acquistate.
Il Made in Israel va boicottato. Mentre il governo continua a sostenere il vergognoso accordo di partenariato tra Europa e Israele, e mantiene un memorandum d’intesa con il governo israeliano, nonostante molti Comuni e Regioni ne abbiano chiesto la rescissione, occorre agire dal basso”
Si rivolge ai Comuni che mi hanno conferito la cittadinanza onoraria o le chiavi della città. Devono dimostrare che il loro impegno è autentico. Se la solidarietà nei miei confronti è legata a ciò che faccio per la Palestina, allora vi chiedo di impegnarvi concretamente, magari attraverso l’emanazione di ordinanze che invitino i commercianti a non vendere più prodotti Made in Israel, che si tratti dei farmaci Teva, di cosmetici o di alimenti. È il minimo che si possa fare”.
“Aderite – rilancia Albanese – alle campagne di AssoPace e Amnesty International e soprattutto fate pressione sul governo. E’ inaccettabile che molte università abbiano offerto borse di studio agli studenti palestinesi – dopo che tutte le università di Gaza sono state distrutte – ma non ci sia modo di farli uscire dalla Striscia. Le ambasciate rispondono che ‘Devono venire a Gerusalemme’. Vi rendete conto di quanto sia cinica questa risposta? Serve una mobilitazione anche per smuovere le autorità”.
Il ruolo del governo italiano
Ritorna sulla complicità del governo italiano “Io credo che ci siano gli estremi per un intervento della magistratura, perché quando si parla di complicità, si parla anche di responsabilità penali. Dovranno esserci inchieste sul Ministro degli Esteri e su esponenti politici dei diversi partiti, anche di sinistra. Un’inchiesta di Report ha mostrato quanto alcuni nostri rappresentanti dei diversi partiti siano legati al settore militare israeliano e alle lobby pro-apartheid”.
Non rinuncia alla speranza “Mi piace pensare che siamo entrati in una nuova fase: non siamo riusciti a prevenire il genocidio, non siamo ancora riusciti a fermarlo, ma tutti coloro che lo hanno reso possibile – per azione o per negligenza – devono risponderne. Il tribunale principale è l’elettorato: queste persone non devono più stare in politica”.
La mobilitazione del mondo della cultura
Sottolinea come il mondo della cultura italiana abbia esitato troppo. “C’è stato un ritardo. Pochi gli attori e le attrici che hanno offerto immediatamente il loro sostegno alle iniziative contro Israele. Per troppo tempo c’è stata timidezza, paura, censura e autocensura nel parlare di Israele e Palestina. Si è creato un timore quasi irrazionale: parlare di Israele avrebbe immediatamente scatenato la ‘macchina del fango’. Io ne sono una delle vittime eccellenti”.
Ricorda come “Da tre anni vengo diffamata su molte testate giornalistiche, non solo di destra ma anche di centrosinistra. Ma ciò che è accaduto a me, e ad altri, è il riflesso di una profonda affinità ideologica con i governi israeliani. Il problema non è solo Netanyahu”
Ricorda come “Sono 57 anni che Israele commette crimini in ciò che resta della Palestina storica, e fin dalla sua fondazione ha commesso violenze contro i palestinesi. Fino a 30 anni fa c’era consapevolezza di tutto ciò: politica, media, arte e cultura partecipavano al dibattito. Poi la questione è stata ignorata, coperta da un un disinteresse disumanizzante, che è esso stesso violenza. Negare ciò che è accaduto e ciò che ancora accade ai palestinesi, privati di qualsiasi libertà, è violenza. Spero che faremo ammenda e impareremo dai nostri errori. Purtroppo la storia insegna che non impariamo mai abbastanza, né abbastanza in fretta”.
L’economia di occupazione
“Il mio ultimo rapporto – prosegue Albanese – mostra che Israele ha mantenuto per molti anni un’economia di occupazione. Ha utilizzato il settore privato – dai produttori di armi alle aziende di tecnologia di sorveglianza e materiali edilizi – per segregare e controllare i palestinesi. Il colonialismo d’insediamento ha usato tutto ciò per sfollare i palestinesi dai territori occupati dal 1967, acquisendo il controllo delle terre e colonizzandole, rendendole riservate ai coloni israeliani. Ci troviamo di fonte a una tirannia neoliberale.
Nel 1967 – ricorda Albanese – non era impossibile per gli ebrei vivere nei territori palestinesi occupati. Ma dal 1967 Israele ha costruito 300 colonie per 800.000 coloni israeliani provenienti da Francia, Belgio, America, Italia: tutti coloni illegali. Il numero delle colonie è raddoppiato e triplicato durante il cosiddetto “processo di pace”, che si è rivelato uno specchietto per le allodole.
I palestinesi sono stati sfollati con l’aiuto del settore privato, quello stesso che ha contribuito a costruire colonie, infrastrutture, reti idriche e fognarie. Poi ci sono i ‘facilitatori’: banche, fondi pensione, università che hanno dato fondi e legittimità all’impresa coloniale israeliana. Avrei potuto scrivere questo rapporto anche 10 anni fa. Nulla o poco è cambiato. Semplicemente, negli ultimi due anni – negli ultimi 650 giorni – l’economia dell’occupazione si è trasformata in un’economia di genocidio. Ci sono molte imprese (48 che ho indagato e nominato nel mio rapporto) che hanno tratto profitto dal genocidio: dalle armi alla tecnologia, dal settore automobilistico con i mezzi Caterpillar, Volvo e Hyundai, prima usati per demolire villaggi o deportare prigionieri, ora per polverizzare Gaza”
Spiega come “Mentre l’economia palestinese crollava e cittadini perdevano lavoro, attività e case – la borsa valori israeliana è cresciuta quasi del 200%, accumulando 220 miliardi di dollari, 70 miliardi dei quali nell’ultimo mese. Tutto questo è coinciso con la corsa agli armamenti, accelerata anche dalla NATO. Israele testa armi e sistemi di sorveglianza sui palestinesi, e poi li rivende”. E ricorda come ci “si concentra e si giustifica ogni violenza con il principio di autodifesa di Israele ma in un territorio occupato illegalmente Israele non può esercitare alcuna giurisdizione”. E ricorda come anche la giustizia internazionale riconosca il diritto alla resistenza armata quando i diritti di un popolo sono negati e sono vittime di violenza.
Le accuse di antisemitismo e terrorismo
Sottolinea come “gli storici israeliani siano stati i primi a suonare l’allarme su quanto stava accadendo. Io stessa avrei potuto cogliere i tanti segni di quello che stava per trasformarsi in genocidio. Il primo è la disumanizzazione dell’altro, di un intero popolo. Un processo frutto di un indottrinamento di trent’anni, di una violenza epistemica, legata alla narrazione di politici e giornalisti che plasmano l’opinione pubblica, poichè l’idea di razza pura non è cominciata e morta con Hitler ma è insita nella cultura occidentale, lo testimonia l’esperienza del colonialismo che ha visto l’Occidente sottomettere altre culture e popoli sulla base di una presunta superiorità”. Ricorda come sia stata accusata di essere antisemita e terrorista, fino ad essere colpita dalla sanzioni di Trump “Sono la prima a riconoscere che gli ebrei sono stati vittima di un genocidio ed ancora oggi devono fare i conti con l’antisemitismo ma ora sono i palestinesi le vittime di un crimine, oggetto di una forma di discriminazione che ha molto a che fare anche con l’islamofobia. Ad Ariano ,nella mia città, il gesto di coprire con una kefia i monumenti per manifestare piena solidarietà al popolo palestinese è stato bollato come esempio di islamizzazione. Ma spiegatemi voi quale è il passaggio da palestinese a musulmano, se è vero che il 20% della popolazione di Gaza è cristiana? Spiegatemi voi quale è poi l’ulteriore passaggio da musulmano a terrorista? Questi discorsi sono solo frutto di ignoranza”. E ricorda come la “sfida è oggi quella di riabbracciare la legalità e la Costituzione, poichè vivere in un paese senza regole è dannoso per tutti. Perciò ricordatevene quando andrete a votare”. Un messaggio reso più forte dalle parole del libro lette da Massimiliano Foà. Poi tutti da Avionica per la pastasciutta antifascista, per ribadire che restando uniti è possibile vincere ogni battaglia e non è più il tempo dell’indifferenza. .