Di Mino Mastromarino
A Milano è scoppiato il caso dell’edilizia verticale. L’ipotesi degli inquirenti è che si siano fatte passare costruzioni di decine di piani per ristrutturazioni di preesistenti edifici, alti di appena qualche piano e di dimensione contenuta. Con la presunta regia di una commissione paesaggio, costituita da tecnici ben centellinati, epperò attinti dal solito sospetto di parzialità.
Quello cioè di tirare più per il (sempre legittimo) interesse proprio e dei committenti privati, che per l’interesse (una volta chiamato) ‘pubblico’. Si vedrà. Nell’immediatezza, abbiamo subito la difesa politica degli accusati, in particolare di Beppe Sala. Il sindaco meneghino ha subito protestato di avere – ci mancherebbe altro – le mani pulite, per poi esaltare la permanente vitalità del modello ‘Milano’. Ossia della necessità dell’edificazione gotica che, non essendoci più suolo da consumare e potendosi ormai occupare solo l’aria, si sviluppa in altezza. Milano – si sente dire – è un asset.
Di chi, per chi e per cosa non è dato sapere.
L’originalità è dubbia tanto perché le linee ascendenti sono state inventate nel medioevo, quanto perché i grattacieli hanno caratterizzato – sin dall’inizio del novecento – lo sviluppo urbanistico di tutte le grandi città non europee, a cominciare da quelle statunitensi. Non parliamo della feroce e irrevocabile bruttezza di questo grumo di palazzoni.
Anche l’efficacia sociale, perequativa, della scuola architettonica milanese è inesistente, posto che la possibilità di acquisto degli appartamenti verticali è riservata ai pochi (e molto) ricchi. La corrispondenza dello sbandierato sistema al senso e al bene comuni è stata ed è professata con argomenti dall’evidente sapore provocatorio.
Gli archistar e il sindaco dovrebbero spiegare come mai per installare o sanare una veranda di qualche metro cubo occorra la licenza edilizia, mentre, per innalzare un fabbricato di quaranta piani al centro di Milano, basti una segnalazione di inizio di attività. Della perorazione ‘gotica’ di Sala, è rimasto soltanto il buio. Un buio beffardo, acre, urticante. Per niente assimilabile alla spirituale, oscura profondità del Duomo, e troppo lontano dalle limpide parole di Sant’Ambrogio e di Sant’Agostino che ancora ammoniscono contro l’abuso e il malgoverno della verticalità.