Sono storie di frontiera quelle che consegna Gaetana Aufiero ne “Il mare non si ferma ai confini”, edito da Delta 3, vincitore del premio “L’inedito”, storie di creatura in fuga, dalla Palestina al Messico, dall’Argentina dei desaparecidos al Mediterraneo. Nei testi che animano le diverse scene del dramma è come se spazio e tempo non esistessero, poichè quelle parole parlano a ciascuno di noi, riguardano ogni tempo, passato e presente, ogni uomo e donna costretti a lasciare la propria terra, ad abbandonare la famiglia, la casa, i figli, a rischiare la vita per sopravvivere. Ne è un esempio l’angoscia della giovane donna argentina, all’indomani del colpo di stato che porterà al potere i militari, la vediamo aggirarsi in casa e per strada, spaventata perchè sa che verranno a cercarla “Nelle strade pattuglie feroci/e uomini e donne col cuore in gola/fermati/perquisiti/bloccati/La storia che rimette in scena un copione già visto/già vissuto”. La vediamo aggirarsi per casa senza trovare pace, tra gli oggetti amati “Le nostre carte, i nostri lavori, i disegni….Conservarli? bruciarli? A che serve? Raccontare, leggere, pensare/Questo maledetto vizio di pensare/quando si deve solo obbedire, tacere”. Aufiero ci ricorda come ogni dittatura eserciti una violenza che è innanzitutto psicologica, imponendoci non solo il silenzio e l’obbedienza ma finendo per plasmare anche i nostri pensieri attraverso un processo di indottrinamento che finisce per costruire alterità pericolose, nemici fittizi, per educarci alla paura e alla discriminazione. Il crescendo di ogni scena è drammatico, vediamo la giovane donna, dopo una lunga attesa, ingoiata dal Ford Falcon perchè ritenuta sovversiva, eppure la speranza sopravvive, legata alle sorti dell’uomo amato che è riuscito a fuggire. Sopravvive nella bambina che è dentro di lei, nel buio del carcere “E’ lei, quell’essere che è dentro di me, che/mi succhia il respiro, che mi chiede/di aspettare a morire?”. La donna sa bene che nessun cavallo bianco verrà a salvarla, non resta dunque che la morte ma sa anche che quella bambina magari potrà salvarsi e non dimenticherà mai il suo amore “Basta che ascolti il suo cuore che batte con il mio/che dica piano alla mia creatura/quella chiocciolina che sento attaccata al mio seno/che dica alle sue manine morbide, tenere che mi si/stringono, mi danno calore/che dica piano come un rosario/parole che non potrà dimenticare/neanche nella su falsa vita futura/ti amerò, ti amerò anche se muoio/ti amerò anche il giorno dopo”.
Un monologo struggente come quello della donna palestinese che vede la sua vita ridotta in brandelli, valere meno di quella di uno scarafaggio “Una casa sparita/mentre il mondo parlava di pace/Ci illudeva con parole di pace/e noi aspettavamo/dicevamo piano tra la polvere che soffocava il respiro: “le nostre spalle sono forti/sono palme superbe/ricostruiremo una nuova casa/una che le mine non potranno far saltare/Ed intorno pianteremo alberi, fiori/gelsomini/Ripetevamo come in preghiera/Che sia vero!Che venga la pace/che finisca questo strazio feroce/Abbiamo già visto abbastanza/mattoni accesi nel sangue/morti su strade arate da carri/ e vortici di feriti e di condanne/Abbiamo visto abbastanza”. Un dolore che è anche quello dei bambini stanchi di giocare alla guerra “Per noi bambini solo petali lacerati/i petali delle nostri guance/segnate da strisce di sangue…./Non voglio, mamma, giocare alla guerra/Voglio giocare con l’aquilone/mamma, l’orco mi acchiappa/Devo fuggire”. Un lamento non diverso da quello della donna che vive al confine col Messico, nelle terre di Aztlan, contesa da secoli tra spagnoli, messicani e angli, costretta a fare i conti con recinzioni e fili spinati che separano in maniera netta i Messicani dagli Statunitensi e lunghe traversate nel tentativo di fuggire “Questa è la mia casa/Una linea di filo spinato/Ma la pelle non ha cuciture/e il mare non si ferma ai confini”. Pohcè è il mare l’unica vera terra che è di tutti, che non conosce distinzioni di nazionalità o di colore della pelle, democratica nella sua capacità di dare sollievo e affondare.
Anche il dolore non conosce barriere e nazionalità, è quello dei tanti migranti costretti a partire sui barconi nella speranza di un futuro migliore. Sono donne e uomini senza patria “La patria me l’ha rubata il mare/il mare eterno/alta/bassa marea/Il mare solo me la potrà ridare”. Mentre una Madonna nera “veglia su un bimbo che saprà di mare/sui suoi occhi aperti sulla vita/sul suo visino antico, già vissuto, sulle sue mani/mani tenaci forti/mani di un figlio di frontiera”. Poichè partire era l’unica scelta “Io, scavata come un campo seminato a mine/io, cui fu detto ‘Non hai scelta. Morire o andare”/E sono andata/Via dai melograni/via dalle rondini/via da caffè nell’ora del mattino/Via verso il mare/sughero sull’onda, che si ripete una domanda atroce “Dove andare se si deve andare/Dove in un mondo tutto catene e spine?/Conchiglie e stelle mi ha offerto il mare/Sonno, riposo, pace promette il buio in questa notte/senza stelle e luci”. Eppure anche quella del mare rischia di essere un’illusione, un inganno poichè quel mare può portare con sè ogni speranza di futuro. Ovunque la paura dell’altro, sia che arrivi dal mare, sia che ci si aggiri accanto mentre si alzano nuovi muri e nascono nuovi prigioni.
Lo ricorda la cantastorie nella scena conclusiva del dramma, in cui anche il pianeta appare ormai stanco, tra sottomarini atomici e navi da guerra, relitti e uomini abbandonati sulle sponde “Non è più tempo per miti e favole/ti dici tu, che a lungo le hai amate/Non è più questo il mondo per cui hai combattuto, coltivando memoria, storia e storie/la storia che sotto il tuo sguardo si riavvita su se stessa/riporta alla luce vecchi fantasmi e barriere/rinnova i suoi giochi beffardi/Il mai più dei nostri padri/il nostro stessi mai più/auna promessa dimenticata”. Eppure è nel racconto l’unica speranza “Storie feroci di un Altrove/lontano dalle certezze dal /tuo mondo sereno/raccontate come quei cunti da paura che da bambina/ascoltavi”. Raccontare è l’unico mondo per mantenere vive le coscienze “Non sei più una vecchia Cassandra senza voce/ma una cantastorie fuori dal tempo. Le ture creature torneranno alla luce/Racconteranno di quell’Altrove che sta avvelenando/le nostre vite/Ne mostreranno la ferocia/Diranno, ripeteranno, urleranno/mai più”.