Qual è uno dei nodi che rende difficile la convivenza civile in questo mondo che avanza fra l’incerto e l’angoscia?
E’ l’indifferenza. Questo comportamento sociale, che diventa alibi per il non fare o peggio del fare male, è diventato ormai il male profondo che non consente di organizzare la speranza per rimediare ai guasti compiuti .
Dunque l’indifferenza. E’ questo un misto di disinteresse e inconscia paura, che tarpa le ali ad ogni tentativo di recuperare i valori fondanti di una società che sopravvive a sé stessa, distraendo lo sguardo altrove.
Si è indifferenti rispetto ai conflitti che insanguino il pianeta, in medio Oriente, come in Ucraina, dove l’orrore ha ormai raggiunto, superandoli limiti insopportabili.
Lo sterminio dei bambini, insieme a quello delle donne e dei ragazzi armati da logiche di potentati, spostano l’orrore sulle statistiche quotidiane delle vite spezzate.
Ci si indigna, si evocano tregue mai attuate, tutto diventa maledetta abitudine contro cui pensare di proporre alternative di pace che sembrano sempre più un traguardo utopico.
L’indifferenza è anche la paura di prendere parte. Di schierarsi per il bene comune. E tutto questo si verifica in ogni dimensione e area geografica, in un gioco a dama che non conosce vincitori.
Solo indifferenza.
I protagonisti di questo muovere le pedine sono animati da sete di potere in un mondo senza giusta causa, che corrisponde agli interessi economici di chi sposta le pedine.
Il progetto putiniano della Grande Russia non è poi così diverso da quello trumpiano della politica dei dazi, o dal disegno della creazione di uno Stato Israeliano che nega la libertà ai palestinesi una rivendicazione giusta e sacrosanta, di uno Stato indipendente.
Posizione da non confondere con il terrorismo di Hamas la cui presenza estremista non favorisce il necessario dialogo tra le parti.
Tutto questo c’è davanti ai nostri occhi, ma
restiamo indifferenti. Far tacere le armi e lavorare per una pace stabile laddove le strade del mondo diventano fiumi di sangue è impresa ardua, ma non impossibile.
Ad una precisa condizione: che si superi l’indifferenza. La stessa indignazione si è trasferita nell’alveo di una abitudine protestataria che non ha la forza di modificare l’esistente.
Questa lunga premessa di ordine generale mi consente di riflettere su un’altra assenza che rende periglioso ogni tentativo di organizzare la speranza.
A me sembra che la dimensione epocale che vive questo nostro pianeta abbia, con tutto il rispetto dei dovuti limiti, una ricaduta nella nostra realtà, sia che lo sguardo sia rivolto al Paese, che al Mezzogiorno, alla Campania e oggi più che altrove in Irpinia.
In tutte queste realtà il condizionamento deriva dalla mancanza di pensiero costruttivo con l’avanzare sempre di più di alcuni fattori indispensabili che fanno la differenza: si avverte, infatti, una logica di impunità da parte di chi, attraverso metodi corruttivi si sente autorizzato a mortificare ogni regola della convivenza civile; ombre fitte si addensano sulla mancanza della legalità con il connubio politica-affari-camorra, perdita di dignità di una comunità, o meglio di una parte di essa, che agisce attraverso i comitati di affari e quanto altro ostacola un’alternativa a questo stato di cose.
E’ vero: la politica è morta, i partiti sono solo gruppi di interesse, l’esempio del pentolone scoperchiato nel Comune di Avellino ha dimostrato che tutto questo è stato possibile per l’indifferenza di quella parte della comunità che si è ritratta per non partecipare al baccano liquidatorio delle risorse pubbliche. Queste cose hanno nomi e cognomi. Ma hanno un’arma in più: l’indifferenza che favorisce l’impunità e il malaffare.
Allora come organizzare la speranza, visto che la stessa indignazione non ha prodotto risultati? I prossimi appuntamenti elettorali, regionali e nei Comuni, a partire dal Capoluogo, devono essere la sfida alta per il buongoverno delle comunità favorendo i processi di legalità, di onestà e di recupero della dignità perduta. Utopico? Non credo visto e considerato che la sovranità appartiene alle comunità che devono pensare alla ricostruzione di una identità perduta. Da questo obiettivo parte l’impegno, senza sosta, per cacciare i mercanti fuori dal tempio e favorire la nascita di una classe dirigente degna di questo nome.