Domenica 10 Agosto, un piccolo borgo tra le colline dell’Irpinia si prepara a vivere una giornata che è molto più di una celebrazione: è un ritorno alle origini, una dichiarazione d’amore verso la propria terra, un abbraccio collettivo intorno a cinquecento anni di autonomia, storia e comunità. Santo Stefano del Sole, adagiato su un crinale che domina la Valle del Sabato, accoglie una tappa speciale del Festival delle Radici, un viaggio tra luoghi e memorie, dedicato a chi è partito e a chi ogni volta torna. Un paese che risplende sin dal nome, “del Sole”, titolo guadagnato nel 1862 per la sua felice esposizione: qui la luce indugia più a lungo, come se il giorno volesse trattenersi ancora un po’, prima di salutare. E proprio nella sua piazza più luminosa, Piazza del Sole, andrà in scena una giornata che attraversa i secoli.
Alle 19.00, un annullo filatelico speciale e la cartolina celebrativa dei 500 anni di autonomia daranno il via ufficiale ai festeggiamenti: piccoli oggetti, ma carichi di eternità.
Alle 20.00, il convegno “Un paese ci vuole…” – ispirato alle parole di Cesare Pavese – aprirà uno spazio di riflessione sulla comunità e l’identità, con interventi del Sindaco Gerardo Santoli, della direttrice artistica del Festival Emanuela Sica, di Autorità e Ospiti Istituzionali, di rilievo locale e nazionale. A seguire “Radici e Memorie”, un racconto corale fatto di storie di vita, di emigrazione, di associazioni e di legami che resistono al tempo e alle distanze. È il cuore vivo del paese, che parla attraverso le sue voci. Per tutta la giornata, una mostra fotografica diffusa, “I volti delle Radici”, e stand tematici accompagneranno i visitatori in un percorso tra esperienze, d’immagini, gusti, oggetti, attività che raccontano presente e passato.
Dalle prime testimonianze neolitiche rinvenute nelle aree di Macchie e Piano della Guardia, al passato sannitico e romano della zona di Castelluccio, fino al documento del 1045, conservato nell’Archivio di Santa Sofia a Benevento, che per la prima volta nomina Santo Stefano come feudo dei conti normanni di Avellino, il 1525 segna la nascita del comune autonomo. Fu allora che, separandosi da Sorbo Serpico, Santo Stefano del Sole cominciò a scrivere la sua storia con voce propria, pur attraversando secoli di dominazioni, da famiglie come i Di Capua, Gesualdo, Capece-Galeota, Del Sangro, fino ai Zamagna di Dubrovnik. Ma non furono solo anni di gloria: il paese ricorda anche pagine tragiche, come la strage di Laurenziello, brigante temuto che insanguinò la festa patronale del 1809, lasciando una ferita che ancora vibra nella memoria popolare. Oggi, come allora, Santo Stefano del Sole è una comunità che resiste, che si raccoglie attorno al suo Palazzo Baronale – già dimora nobiliare, oggi sede del municipio – e che prega nelle sue chiese antiche, come la Chiesa Madre, custode di una tela del Quattrocento attribuita ad Antonio Solario detto “lo Zingaro”.
Alle 21.30, il sipario si chiuderà in musica con il concerto in trio di Mariella Nava, voce intensa e poetica, capace di tessere con le note ciò che le parole da sole non riescono a dire. Questa non è solo una festa. È un rito civile e intimo, un ritorno alle origini, un grazie sussurrato alla terra. È la celebrazione di un paese che da cinquecento anni cammina con passo autonomo, saldo nella sua identità, ma con lo sguardo sempre rivolto al futuro. Come scriveva Pavese: “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.” E Santo Stefano del Sole aspetta tutti. Chi parte, chi torna, chi resta. Perché le radici, qui, non smettono mai di parlare.