di Don Gerardo Capaldo – Anche durante il Vaticano II i padri conciliari si posero il dilemma tra economia collettiva o economia capitalistica. “Tertium non datur” si affermò. Nei Paesi anglosassoni prevaleva il capitalismo. Si riteneva che la natura umana, indotta ad un impegno produttivo soprattutto per il profitto individuale, potesse cosi favorire il progresso.
Lo Stato avrebbe dovuto comunque garantire un minimo di equilibrio con una idonea politica fiscale. Nello stesso tempo si riteneva che ogni singolo imprenditore avrebbe potuto farsi carico dei più deboli con donazioni spontanee e consistenti devoluzioni destinate al Terzo mondo. Casi di solidarietà che in verità non sono mai mancati.
Tuttavia i conti non tornano. Le distanze tra ricchi e poveri sono in continuo aumento. Le evasioni fiscali diventano una regola. Quel minimo di vecchio filantropismo e di etica cristiana va scomparendo. Fioriscono i traffici di droga, la tratta delle schiave e degli organi umani, lo sfruttamento dei rifugiati.
Così il capitalismo o liberismo diventa capitalismo anche di Stato e assume carattere geopolitico, tale da scatenare rivalità, cupidigia insaziabile e conflitti sanguinosi per il dominio delle materie prime e dei popoli più deboli che le posseggono. Si alimenta così il commercio delle armi, mentre i diritti umani e i trattati internazionali vengono ridotti quasi a carta straccia.
E’ questo il buon senso, il progresso, la civiltà? “Stolto – ammonisce il vangelo – questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio” (Lc 12,13-21).