“Occorre più attenzione e rispetto per il lavoro e per i lavoratori. Gli infortuni, le malattie professionali, le morti bianche, ma anche il mancato rinnovo di contratti per intere categorie, la disapplicazione o l’assenza di tutele, la perenne condizione di precariato che vivono tanti giovani e meno giovani, sono il chiaro segnale dell’assenza di una cultura del lavoro e del prevalere di un’economia della speculazione e dell’arrembaggio”. E’ il duro monito lanciato da Massimo Picone, coordinatore provinciale della Cisal di Avellino e commissario della categoria dei Metalmeccanici.
“E’ necessario un atteggiamento diverso – prosegue il rappresentante del sindacato autonomo – delle istituzioni e dell’imprenditoria affinché i diritti e il valore sociale ed etico del lavoro, sancito dalla Costituzione, non restino soltanto nel novero delle buone intenzioni o degli ideali chiusi in soffitta, con il rischio concreto che anche l’opinione pubblica si rassegni a questa deriva.
Nella speranza che in Irpinia e in Campania, per quel che ci riguarda direttamente, ma più in generale nel Paese, vi sia una presa di coscienza e una maggiore sensibilità, non possiamo che sollevare ancora una volta la grave questione della sicurezza nei cantieri, nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro, mentre quotidianamente assistiamo ad un bollettino di guerra, con sempre nuove vittime: padri e madri di famiglia, giovani che non fanno più ritorno a casa o che per portare a casa un salario o uno stipendio pagano il prezzo di una mutilazione o di una malattia.
Una situazione gravissima e inaccettabile, che non può più essere soltanto denunciata, ma che richiede con immediatezza risposte concrete ed efficaci.
Così come non possiamo continuare ad assistere alla crisi di un intero comparto industriale ed in particolare del settore dell’automotive, gruppo Stellantis in primis e l’intero indotto, che anche nella nostra provincia sta mostrando nell’oggi, ma ancor più in termini di prospettiva, gli effetti di una crisi determinata da scelte aziendali sbagliate, che si susseguono negli anni, e dall’assenza di una strategia industriale nazionale, oltre alla mancata definizione di un piano di sviluppo del territorio.
Una crisi che si consuma senza una vera assunzione di responsabilità e senza la costruzione di un serio percorso di rilancio, con i lavoratori che ne pagano sulla propria pelle il prezzo, mentre gli azionisti incassano lauti dividendi, tanto più insopportabile perché per anni, per decenni, sono stati investiti ingenti quantità di soldi pubblici”.
“Occorre dunque – conclude Picone – una netta inversione di rotta, che può determinarsi soltanto se sul piano locale, come su quello nazionale, ci si fa carico delle politiche del lavoro e dello sviluppo industriale ed economico, partendo dagli interessi generali e dall’affermazione dei diritti sacrosanti dei lavoratori, che hanno sempre contribuito con il proprio impegno alla crescita delle realtà produttive e della comunità e di fronte alla necessità di sacrifici non si sono tirati indietro, a differenza di chi invece aveva il compito di guidare i processi e si è dimostrato inadeguato o ha preferito imboccare le solite comode scorciatoie, senza tener conto delle conseguenze che sarebbero state determinate”.