di Mino Mastromarino
C’è un che di urticante nel dibattito sull’introduzione dell’Intelligenza Artificiale a scuola. Riguarda la formula salvifica del cosiddetto pensiero critico, la cui vacua pervasività è pari soltanto all’altra parola magica che è l’inclusione. L’IA generativa è presentata come una risorsa educativa mirabile e inevitabile, per discenti e docenti. Non deve essere vista come una minaccia perché siamo ( o meglio saremmo) appunto protetti dal pensiero critico. Molti temono che le nuove tecnologie possano distogliere gli studenti dall’apprendimento, permettendo loro di delegare ogni funzione conoscitiva a un algoritmo. Usa dirsi che il problema non è la tecnologia in sé, ma l’assenza di un’educazione critica al suo uso. Alcuni istituti hanno avviato laboratori di scrittura creativa in cui studenti e IA cooperano (???) per sviluppare storie, e poi per discutere delle differenze tra lo stile umano e quello algoritmico. Si parla – a vanvera – di tornare a porre la persona (lo studente, l’insegnante, la comunità educante) al centro del progetto formativo. Sono tutti argomenti inconsistenti. Tradiscono il truffaldino difetto di presupporre in capo agli alunni una capacità critica che obbiettivamente non si è ancora formata ( non si è potuta formare). Si invocano esperienze didattiche comparative, quando è evidente la mancanza di uno dei termini di confronto: il pensiero critico. Insegnare l’utilizzo dell’IA comporta la estromissione della persona, ed è cosa diversa dall’avviare i giovani al ragionamento autonomo. La vera lezione maieutica del pensiero critico è invece di far capire che, nella scuola, l’IA non serve a niente ( e può causare danni irreversibili ).