di Virgilio Iandiorio
Tra pochi giorni inizierà il nuovo anno scolastico. Come spesso accade ai voti augurali, ai buoni propositi si accompagnano tante proposte di rinnovamento della scuola, che molto spesso sono ingegnosi accorgimenti tattici, strategie scarsamente efficaci.
Nel 1954 il poeta americano John Ciardi (1916-1986), nato da genitori irpini, la madre, Concetta, era di Manocalzati, fu chiamato a tenere la prolusione per l’inizio dell’anno accademico nella Rutgers University, dello stato del New Jersey. Aveva allora 38 anni ed era associate professor of English. Il discorso, rivolto agli studenti di quel college, a più di settant’anni di distanza conserva la sua attualità, riscontrabile già nel titolo della prolusione: “Un nuovo anno scolastico: perché?”
Tutto il discorso di Ciardi è come un dialogo con lo studente: non uno studente qualunque, ma uno che non crede nella scuola. Eco i punti salienti.
“Negli ultimi 50 anni, nei college sono stati introdotti nuovi corsi ad un ritmo fantastico. Consultate il piano degli studi di un college per l’anno accademico 1900-1901 e poi consultatene uno per il 1950-1951. Troverete che ci sono 50 nuovi corsi offerti nella guida precedente, 250 in quella successiva. Questo aumento di specializzazione è, ovviamente, implicito nella natura della tecnologia del ventesimo secolo. Gran parte di essa è assolutamente necessaria per il ritmo della vita moderna. Tuttavia, abbiamo avuto molte occasioni per rimanere perplessi, leggendo i nuovi sviluppi in materia di istruzione.”
Per John Ciardi il numero enorme di materie non è sinonimo di buona scuola. Perché il problema di fare buona scuola, non è nella quantità, ma nella qualità degli insegnamenti.
“Lasciate che vi racconti uno dei primi disastri nella mia carriera di insegnante. Era il gennaio del 1940 ed ero appena uscito dalla scuola di specializzazione, e iniziavo il mio primo semestre presso l’Università di Kansas City. Parte della lettura del corso di inglese per le matricole era l’ Amleto.
Uno degli studenti, uno spilungone con capigliatura fluente, venne nella mia classe, si sedette, incrociò le braccia, e mi guardò come per dire: ” Va bene, accidenti a te, insegnami qualcosa“. Due settimane dopo iniziammo l’Amleto. Tre settimane dopo è venuto nel mio ufficio con le mani sui fianchi. E’ facile mettere le mani sui fianchi se non si portano i libri, e questo era un’anima alleggerita. “Senta ,-mi disse-, sono venuto qui per diventare un farmacista. Perché devo leggere questa roba? “. E non avendo un suo libro su cui puntare il dito, ha indicato il mio che era sulla scrivania”.
Ciardi comprese che le sue parole di chiarimento non avrebbero fatto breccia nella mente dello studente. “Guardi,- mi aggiunse-, voi professori esponete le vostre idee, la vostra strada; io mi prenderò cura della mia. Io, io sono qui per imparare a fare soldi “. “Spero che tu ne faccia un sacco,- gli risposi -, perché resterai veramente sconcertato non sapendo cosa fare, quando non firmerai assegni.”
“Quattordici anni dopo, -continua nella sua prolusione Ciardi– sto ancora insegnando, e io sono qui per dirvi che l’attività del college non è solo di istruirvi, ma di mettervi in contatto con ciò che le migliori menti umane hanno pensato. Se non avete tempo per Shakespeare, per gli aspetti basilari della filosofia, per il mondo delle belle arti, per questo insegnamento del progredire dell’uomo, che noi chiamiamo storia, allora non avete motivo di essere al college. Siete sulla buona strada per essere una nuova specie di selvaggio meccanizzato, il Neanderthal del Pulsante. I nostri college inevitabilmente laureano un certo numero di persone del genere; non si può dire che sono andati al college, ma piuttosto, il college li ha attraversati, senza produrre contatto”.
Studenti di questo tipo somigliano alle anatre, quando stanno nell’acqua hanno su di loro tutto lo stagno; ma quando ritornano sulla terra ferma, basta una scrollata di penne e dell’acqua che avevano addosso non rimane traccia.