La città di Avellino ricorda i bombardamenti del ’43 con una cerimonia che si fa omaggio al ricordo delle vittime e alla memoria del capoluogo, una storia di sofferenza e rinascits “Ricordare la guerra per affermare la pace”. Il 14 settembre, alle 17, sarà deposta una corona al Monumento ai Caduti in piazza del Popolo e al Monumento ai marinai. Seguirà, alle 18.00, in Piazza Kennedy, presso i Giardini Antonio Di Nunno e la Casetta di Vetro, la proiezione del documentario “Avellino ’43”, realizzato da A. Montefusco, G. Del Sorbo e R. Giordano, che ripercorre gli eventi legati ai bombardamenti della città.
Interverranno Giuliana Perrotta, Commissario Prefettizio, Arturo Aiello, Vescovo di Avellino; e Ermanno Battista, del Centro di Ricerca Guido Dorso.
Un ricordo, quello delle vittime e delle guerre di ieri, che diventa anche occasione per affermare il valore della pace. A rivivere la memoria di una delle pagine più dolorose della propria storia. I morti furono tremila, 7953 vani distrutti o parzialmente distrutti, 1091 famiglie sinistrate per un totale di 5535 persone. Gli stessi tedeschi, lungo la ritirata, non risparmiarono saccheggi e sabotaggi, colpendo i centri nevralgici della vita irpina, come la centrale di San Mango. In pochi avevano notato l’andirivieni di mezzi e camionette tedesche, poi d’improvviso uno stormo di bombardieri comparve in cielo quella mattina del 14 settembre. Le bombe sganciate dagli aerei avevano colpito la zona del Carmine, del Duomo, del seminario, di piazza Libertà. Otto le ondate di bombardieri che sconvolsero la città alle 10.55 senza che uno squillo di sirene o altro allarme avvisasse la popolazione. Gli alleati volevano abbattere il ponte della Ferriera per rallentare la divisione tedesca di stanza nelle Puglie impegnata a contrastare le truppe americane sbarcate pochi giorni prima a Salerno. Non fu facile prestare soccorso ai feriti, poche erano le autorità rimaste. Lo stesso ospedale si rivelò inadeguato, le aule della Scuola e i dormitori del Convitto dell’istituto agrario si trasformarono in corsie per curare i feriti. “La città, senza guida, abbandonata a sè stessa – scrive Andrea Massaro nel volume “Avellino ’43”, curato con Antonio Forgione – pianse per giorni i propri morti. Anche l’Ospedale, funzionante nei primi giorni, fu presto abbandonato come furono abbandonati i morti nelle strade. Pagine di solidarietà e di eroismi furono scritte dalle singole azioni compiute da tante persone. A cominciare da Domenico Laudicina. Tenente medico trapanese, il Laudicina organizzò un ospedale da campo prima nel convento dei Padri Cappuccini poi nell’attiguo Istituto Agrario. Accanto alle figure di Domenico Laudicina e Mons. Bentivoglio rifulsero quelle di Padre Carmelo da San Gennaro Vesuviano, Guardiano del Convento di S. Maria delle Grazie che accolse la sofferenza di quei giorni. Il preside della scuola agraria, Lorenzo Ferrante ed i medici Ugo Tomasone, Nazzaro, Cerullo e De Caprariis non lesinarono sforzi per curare i feriti. Accanto a loro le Suore delle Figlie della Carità spiegarono tutto il loro amore”. Prezioso fu il ruolo giocato dal fante della Divisione Aosta Carlo Caron, collaboratore del medico Laudicina, dal professore Massimo Barra, agronomo che trasportò i feriti nell’ospedale sulla collina dei Cappuccini, da Don Giovanni Gionfrida per l’assistenza ai moribondi, il maresciallo della Guardia di finanza, Salvatore Marra, il parroco del SS. Rosario. Proprio per l’eroismo dimostrato durante i bombardamenti fu conferita la cittadinanza onoraria al vescovo Bentivoglio e a Domenico Laudicina. La città, si legge nella delibera del 26 aprile 1949 “deve assolvere a un debito, un vecchio debito di riconoscenza verso un uomo, che solo, nell’ora tragica che tutti ancora ricordiamo, seppe, con sprezzo della propria vita, restare al suo posto di responsabilità, vero Pasto Bonus, portando conforto ai moribondi ed aiuto ai feriti in mezzo a quella orrenda carneficina, prodotta dalla inconsulta e bestiale incursione aerea del 14 settembre 1943 che tanti lutti e rovine rovesciò su questa nostra amata città”. poi, l’arrivo delle truppe alleate. I primi soldati entrarono in Avellino tra il 30 settembre ed il primo ottobre, provenienti da via Francesco Tedesco, bivio Puntarola, da via Umberto I, da via Nappi, da piazza Centrale. La città era deserta, in tanti avevano trovato rifugio nelle campagne circostanti. Il 14 settembre 1958, in occasione del quindicesimo anniversario del bombardamento, con una solenne cerimonia veniva inaugurata la stele posta al lato dell’ingresso della Chiesa del Carmine.