Molti sono i report sui servizi alle comunità: tra questi l’acqua e i rifiuti sono il business del tempo a venire. E’ in questi settori, a cui si aggiunge quello della speculazione edilizia, che i poteri occulti e le infiltrazioni della criminalità organizzata hanno programmato il loro futuro. Non senza la complicità colpevole della politica e dei partiti che ne sono lo strumento. Tutto questo ha determinato un oggettivo arretramento della nostra provincia, che oggi sta vivendo una crisi che viene da molto lontano.
Emblematica e paradossale è la vicenda che riguarda la crisi idrica. Essa si coniuga con la presenza nel territorio di risorse tra le più importanti in Europa e il fallimento della gestione del servizio a favore delle comunità, in un susseguirsi di “scippi” che si sono registrati da quando le mani sulle sorgenti le mise l’assetata Puglia, che aveva convogliato, negli anni del Ventennio, le acque irpine con la creazione dell’Acquedotto Pugliese. Se a quei tempi il dissenso non era ammesso, negli anni successivi l’affare si consumò con la mortificazione dell’Irpinia attraverso il potere sterminato dell’ente pugliese. Che s’ingigantì nel breve tempo grazie anche ad alcuni amministratori con il cappello in mano ai quali fu dato un minimo ristoro, quasi a comprarne il silenzio.
Contro tutto ciò si ribellò Fiorentino Sullo, giovane deputato della Costituente e più volte ministro della Repubblica. La protesta approdò, all’insegna del motto “l’acqua è mia e la gestisco io”, con la nascita del Consorzio Alto Calore, che all’inizio del suo percorso agì realizzando opere infrastrutturali, reti idriche comprese, con enormi capacità progettuali. Poi il disastro. L’Alto Calore negli anni successivi si è trasformato in una delle più grandi istituzioni del clientelismo in Irpinia, con gestioni folli, un familismo amorale da parte di chi occupava responsabilità nei vari cda, attraversato anche da scandali per mazzette, assalito dai partiti, giungendo fin sull’orlo del fallimento. E i fondi stanziati per le reti idriche comunali che intanto sono ridotte a colabrodo, con la perdita dell’acqua di oltre il cinquanta per cento, che fine hanno fatto? Sperperati tra clientelismo, consulenze da distribuire tra gli appartenenti ai partiti, nessuno escluso, divisione delle competenze con la costituzione di sottoenti minori, poi cancellati per gli sprechi messi in atto, e così via. E le infrastrutture? Poco o niente. Oggi in alcune realtà acqua bianca e fognature compiono percorsi unici e non paralleli.
Torniamo ai padroni della Puglia. Uno scippo si consumò con il governo di Silvio Berlusconi. Presidente della Regione Puglia era Raffaele Fitto, attuale commissario europeo per la coesione e Pnrr, a quel tempo astro nascente nelle file di Forza Italia. Tanto che per premiare la sua fedeltà il Cavaliere di Arcore ordinò al Ministero del Tesoro, detentore di un rilevante numero di quote dell’Acquedotto pugliese, di cederle alla Regione Puglia, senza tenere conto da dove provenisse la risorsa, ma istituendo un tavolo di concertazione tra alcune regioni meridionali. In questo caso lo scippo ha del clamoroso. Perchè al tavolo di concertazione per la ridistribuzione ricevette quote, tra le altre, anche la Basilicata, ma non la Regione Campania che non si presentò all’appuntamento fissato, penalizzando l’Irpinia. Ovviamente i partiti irpini e la non classe dirigente, che intanto hanno già operato il saccheggio, restano insensibili per quanto si è verificato.
E veniamo all’altro business: la gestione pubblica dei rifiuti. Non è semplicemente una questione tecnica o amministrativa: è una componente essenziale per la salute collettiva, la tutela dell’ambiente, la giustizia sociale e il benessere economico. E’ signicativa per tali ragioni l’azione politica messa in campo dalla Provincia di Avellino, che ha scelto di tutelare e rafforzare il ruolo di Irpiniambiente come società pubblica di riferimento. La decisione di mantenere salda la gestione in capo al pubblico non rappresenta solo una scelta organizzativa, ma un atto di responsabilità istituzionale che garantisce trasparenza, equità nell’erogazione del servizio e salvaguardia degli interessi della collettività. La Provincia, attraverso il sostegno a Irpiniambiente, ha ribadito la centralità della dimensione pubblica come presidio di legalità, efficienza e sostenibilità, contrastando spinte privatistiche che rischierebbero di subordinare l’interesse generale a logiche di profitto.
Tra gli “scippi” non posso non fare riferimento, infine, al tema della sostenibilità, dell’ambiente, dell’abuso e dell’indecente sfruttamento del suolo. Il “caso Avellino”, ma non solo, offre un quadro complesso nel quale speculazione edilizia, debordante cemento, spietato uso delle cave e infiltrazioni camorristiche sono tutt’uno nella assoluta assenza di legalità. Nel tempo si è registrato un pericoloso grumo che tiene prigioniera la città, facendole perdere dignità e identità. Un gruppo di speculatori senza scrupoli, con l’asservimento della burocrazia e la complicità di chi organizza la politica attraverso i partiti, irresponsabilmente sta facendo strage del suolo, acquisendo nuove proprietà e in una pericolosa specie di comitato di affari porta avanti un disegno perverso sotto gli occhi delle Istituzioni e di una borghesia distratta e impaurita dalla violenza. Un processo devastante con e per la camorra, come ha allertato la Direzione distrettuale antimafia che nella sua relazione semestrale al Parlamento conferma l’esistenza di un rapporto tra alcuni imprenditori locali e un clan camorristico del napoletano. Si tratta di un’operazione che definisce un pericoloso sodalizio malavitoso che investe danaro nell’edilizia. Secondo alcune fonti bene informate e con un’alto grado di attendibilità il circuito vizioso si articola, come detto, tra l’uso indiscriminato della gestione delle cave nel territorio campano, la gestione incontrollata del cemento e l’occupazione indiscriminata del suolo sia nel centro cittadino che nelle periferie. Ciò si rende possibile grazie anche all’indifferenza di una comunità molto spesso distratta da ludiche manifestazioni. E qui che entra in gioco il valore della legalità. Essa è molto spesso violata e comunque non sempre facile da imporre talvolta anche per il sorgere di conflitto tra le istituzioni.
Di fronte al malessere evidenziato, per debellarlo la sola strada percorribile, oltre il rispetto delle leggi, è l’assoluto rispetto della Costituzione che fissa i principi della convivenza civile con l’obiettivo del bene comune. Ovvero la legalità.