E’ una pagina dolorosa della storia d’Irpinia, per troppo tempo rimossa, a rivivere nel dibattito “Decolonizziamo la città” promosso dall’Anpi, in programma l’11 ottobre, alle 17, al Circolo della stampa, Nel novantesimo anniversario dello scoppio della guerra d’Etiopia il professore Erminio Fonzo, docente all’Università di Salerno, ricostruirà la vicenda della deportazione dei dignitari etiopi a Mercogliano durante il ventennio fascista. Introdurrà il presidente Anpi Giovanni Capobianco. Interverrà il vicepresidente Mimmo Limongiello
“Alla fine degli anni Trenta, nel paese di Mercogliano – ricorda Fonzo – furono confinati circa cento cittadini dell’Etiopia, appartenenti alla classe dirigente del Paese e facenti parte di un più ampio gruppo di aristocratici deportati in Italia in seguito all’attentato contro Rodolfo Graziani (19 febbraio 1937). Gli etiopi, alloggiati in due istituti religiosi, furono sottoposti a un regime non particolarmente duro dal punto di vista materiale, ma traumatico sotto il profilo psicologico, anche perché quasi tutti avevano giurato fedeltà all’Italia e si aspettavano di avere un ruolo politico nella nuova Etiopia coloniale. I deportati furono rimpatriati tra la seconda metà del 1938 e l’inizio del 1940. Per la maggior parte di loro, l’esperienza della deportazione rappresentò una frattura nei rapporti con l’Italia e per il regime fascista si rivelò controproducente”. Il confronto vuole essere anche l’occasione per una riflessione a tutto campo sul processo di decolonizzazione necessario nel mondo occidentale per liberare la narrazione di passato e presente da pregiudizi e condizionamenti imposti dalla nostra cultura”.
“La società italiana – si legge nella nota Anpi – ha sempre rimosso gli orrendi crimini che il colonialismo liberale e fascista perpetrò in Eritrea, Somalia, Libia ed Etiopia per gran parte dei 75 anni in cui esercitò il suo dominio nei quattro Paesi africani. I responsabili di tante efferate stragi, in cui furono usate anche armi di distruzione di massa, non pagarono mai per quei crimini contro l’umanità commessi materialmente da italiani in camicia nera, ma anche da militari e comuni cittadini. Si volle dimenticare, coltivando il mito mistificante degli “italiani brava gente” e di un colonialismo ingenuo e all’acqua di rose, che non tramontò neanche con la caduta del fascismo. Anche la nuova Italia democratica infatti continuò a sminuire le proprie responsabilità rifiutando una onesta revisione storica condivisa, indispensabile per stabilire rapporti leali con gli ex Paesi colonizzati, che chiedevano giusti risarcimenti non solo economici ma soprattutto morali.
Fino ad oggi non c’è ancora stata in Italia una decolonizzazione culturale compiuta, e i popoli che subirono il dominio del nostro Paese continuano giustamente a reclamarla”



