di Mino Mastromarino
Da qualche mese è partita la nuova campagna pubblicitaria delle Ferrovie dello Stato, ispirata nientepopodimeno che ‘ all’emozione di essere italiani’.
Il Gruppo FS si è sentito in dovere di proclamare : “Siamo un popolo di ferro, forgiato dal fuoco delle sfide, temprato dal coraggio, legato da un calore umano che nessuna distanza può spezzare. Come il ferro, sappiamo resistere e trasformarci, vibrare davanti alla bellezza.” “Abbiamo scelto di partire dalle persone. È da qui che nasce l’idea di un ‘popolo di ferro’: un popolo che non si è mai arreso. Che ha fatto della resilienza una forma di identità nazionale” ha illustrato Giuseppe Inchingolo, il manager dalla sussiegosa e interminabile qualifica di chief corporate affairs, communication e sustainability officer.
Questa non si era mai sentita: gli Italiani sarebbero ( stati o diventati ) un popolo metallico. Proprio come una ferrovia. Non più – ormai – una comunità di poeti, santi, cantanti e navigatori.
Sarà che questa è l’epoca della cosiddetta ‘miseria simbolica’; e che per i pubblicitari è sempre più difficile rianimare la fantasia dei cittadini ( pardon, dei consumatori ), mutilata da internet, dai social e dagli smartphone. Di sicuro, una metafora così inconferente, inespressiva, malriuscita, e desituata – da parte di una delle maggiori aziende di Stato – non ce l’aspettavamo né meritavamo. L’ abbinamento del carattere degli Italiani al ferro non ha alcun ancoraggio con la nostra storia. Così come evidente è l’inconciliabilità del fascino estetico, del buon vivere, dell’ospitalità e giovialità del Belpaese rispetto all’algido, seppur utile metallo.
E’ tale il cedimento del linguaggio che, a questo spot, non è possibile riconoscere nemmeno dignità o efficacia di propaganda.
Deve sottolinearsi anche il collasso del contesto. Il richiamo alla resilienza è stantìo e improprio giacchè – ora, nel 2025 – non si tratta di resistere ma di progredire. Per non parlare della torsione identitaria della similitudine ferrosa. Non solo antistorica, ma inopportuna in questi tempi di pericolosi e vicini rigurgiti bellici. C’è da rabbrividire.
E’ contraddittorio prospettare un’idea di futuro ricorrendo all’immagine del (- l’età del ) ferro, che evoca – anche per i più disattenti – un periodo arcaico, primitivo ovvero – a tutto concedere – la prima rivoluzione industriale di alcuni secoli fa. Insomma, tutto il contrario del progresso. E del migliore funzionamento cui dovrebbe essere ( ma non è ) proiettata la rete ferroviaria italiana.
Se proprio si doveva assecondare una necessità di retorica e di incoraggiamento, era meglio rispolverare il gladius dell’impero romano.
Sic !



