di Virgilio Iandiorio
L’altro giorno sono stati raccolti nell’orto di casa mia tre grosse melagrane. Non ho pensato al dipinto di Botticelli la Madonna della Melagrana, ma mi sono ricordato della notizia di non molto tempo fa del ritrovamento a Pompei di melagrane conservate in una casa della città, molto probabilmente raccolte poco prima dell’eruzione del Vesuvio.
Tutti sappiamo che il melograno ha i frutti maturi in piena stagione autunnale. E allora? come è possibile che nel 79 D.C. il 24 di agosto il melograno avesse già i frutti da cogliere maturi?
Qualcosa non torna nei conti della data dell’eruzione fissata, e riportata in tutti i libri di storia. Se il melograno matura in autunno, non potevano i pompeiani avere raccolto i frutti del melograno così in anticipo, qualche settimana prima del 24 di agosto.
Eppure Scipione Bella Bona nel Raguaglio VIII della città di Avellino, libro pubblicato nel XVII secolo, così riporta:” Il primo di Novembre delli 81 d. C., come scrive il Baronio, nel primo anno dell’impero di Tito nel Monte Vesuvio, hora detto Somma, per lo sgorgamento di fuoco, fumo, globi di solforee miniere, e sassi ardenti, con gran stragge d‘ huomini e notabil danno de’ luoghi remoti, non che circostanti, essendo dal vento in quantità portate le ceneri nell’Egitto, in Soria, ed in Roma, per lo che ne seguì gran peste; in quello vi morì Caio Plinio Veronese, di nuovo destrutti Pompei ed Ercolano”.
A parte qualche inesattezza sul luogo di nascita di Plinio (Plinio il Vecchio non era di Verona ma di Como) e sull’inizio dell’impero di Tito (settembre 79 d. C, mentre la morte avvenne nell’81 d.C.) il Bella Bona aveva chiaro che l’eruzione che seppellì Pompei avvenne nella stagione autunnale, e non in quella estiva.
Nel 2020 l’editore Francesco D’Amato di Nocera ha pubblicato in edizione anastatica I Raguagli della città di Avellino del Bella Bona con un saggio introduttivo di Francesco Barra. Il saggio del prof. Barra è ricco di notizie sulla vita e la famiglia di origine del Bella Bona. Una notizia in particolare è di grande interesse. “I Bella Bona -scrive Francesco Barra– erano ebrei avellinesi che tradussero e latinizzarono il proprio cognome originario Jaffe ben.Tow (Bello/a figlio/figlia di Bonaventura) in quello di Bella Bona.
Pensate voi che sarebbe passato inosservato ai nostri giorni il libro e il suo autore, un ebreo? Di sicuro, il libro sarebbe stato escluso da tutte le librerie e le biblioteche del nostro paese. E chi fosse stato trovato con un tale libro tra le mani, avrebbe rischiato di grosso.