Dalla protoindustria alla ricchezza rappresentata dalle risorse idriche, dal commercio al ruolo centrale svolto dai feudatari nella crescita dei territori. Sono alcuni dei temi affrontati dalla collana degli “Studi Storici Sarnesi”, presentata nel corso di un incontro all’Archivio di Stato, nell’ambito della rassegna “I giovedì della lettura”. A introdurre l’incontro Lorenzo Terzi, direttore dell’Archivio di Stato di Avellino. A confrontarsi Francesco Barra, già professore di Storia moderna presso l’Università degli Studi di Salerno, Teresa Colamarco, storica, paleografa e diplomatista, e Alfredo Franco, direttore della collana.
Un percorso, quello della collana degli “Studi Storici Sarnesi” che parte dalla documentazione sulla storia di Sarno tra Quattrocento e Cinquecento per ricostruire, poi, le dinamiche di evoluzione della “protoborghesia”, colonna portante delle economie locali e la gestione organizzata delle acque, tema centrale per la cittadina salernitana. Fino al saggio su “Citra serras: feudo, Universitas e cetualità a Montoro in età moderna” di Teresa Colamarco. E’ Barra a porre l’accento sul legame tra protoindustria, mondo agricolo e sfruttamento delle risorse idrauliche che caratterizza l’economia tra ‘400 e’500 “Anche il Principato Ultra conosce uno sviluppo significativo, nel momento in cui i feudatari riescono a canalizzare le acque e utilizzarle come fonte di energia. Nascono così la siderurgia, le concerie e le gualchiere, da Prata ad Altavilla. Si innesca un circolo virtuoso che trasforma Avellino in una città commerciale anche grazie alla via Regia delle Puglie. Del resto, gli stessi Caracciolo intervengono sulla canalizzazione delle acque, realizzando un circuito idraulico che da Monteforte raggiungeva i mulini del Fenestrelle e di Pianodardine, già nucleo industriale della città. E’, dunque, con l’affermarsi di tecnologie avanzate e l’arrivo di maestranze specializzate che Avellino si ripopola. Un fenomeno che non caratterizza diversi centri dell’Irpinia, come accade con i Della Tolfa a Solofra che creeranno una nuova città industriale con la ferriera e la valle dei mulini. La feudalità utilizza il monopolio delle acque per creare un apparato industriale. Un processo che proseguirà nel Settecento con la realizzazione dei Regi Lagni, rete di canali artificiali per scongiurare il pericolo delle alluvioni. C’è dunque una parte della feudalità che sceglie di rispettare la vocazione ambientale dei territori e di farne il punto di partenza dello sviluppo dell’economia”.
Quindi, Barra si sofferma sullo studio dedicato da Teresa Colamarco a Montoro e ai suoi casali “La città – spiega Barra – ha assunto forme differenti nel Sud. Lo testimonia la presenza di realtà come quella di Montoro o Solofra, caratterizzate da una serie articolata di casali in cui ciascuno gode di autonomia territoriale. Un fenomeno comune a molti centri dell’Appennino e in Irpinia, della Valle dell’Irno. Si assiste, dunque, malgrado il cuore dell’insediamento di Montoro fosse Borgo, ad una dialettica tra centro e periferia con i casali che si sviluppano, grazie alla graduale riconquista della piana, determinata dalla regimentazione delle acque. Una ricostruzione che diventa anche l’occasione per riflettere sul valore di cui si carica la gestione dei beni comuni in tempi di spopolamento che pone con forza la necessitò di unificare servizi. Tuttavia, lo stesso concetto di bene comune ha finito talvolta con l’essere equivocato, basti pensare all’abbandono della pulizia dei corsi d’acqua che ha determinato gravi rischi ambientali. Di qui la necessità di una maggiore consapevolezza della fragilità del territorio del Sud che ha bisogno di essere curato con attenzione”.
E’ quindi Colamarco a ricostruire la genesi del suo saggio su Montoro che indaga l’evoluzione del territorio “Tutto nasce da una ricerca che mi era stata commissionata su una Pellecchia di Montoro che aveva sposato un Sodano di San Marzano. Uno studio partito dalla consultazione di protocolli notarili e dello stato delle anime negli archivi diocesani così da giungere alla scoperta della presenza a Montoro di un ceto imprenditoriale importante. Il montorese ha rappresentato un territorio cerniera tra l’Adriatico e il Mediterraneo contraddistinto da una notevole presenza di fiumi che non causeranno problemi fino a quando resisterà il sistema di regimentazione di età romana. Successivamente, in seguito alle esondazioni della Solofrana, sarà gradualmente abbandonata la zona della pianura con gli abitanti che si rifugeranno in collina. Già nel 1500, tuttavia, l’acqua comincerà ad essere usata per promuovere un’agricoltura specializzata e creare un’industria. Ad affermarsi, in particolare lungo l’asse da Torchiati ad Aterrana, sarà un ceto mercantile di cui faceva parte la famiglia Pellecchia. Una presenza testimoniata anche dalla presenza di cappelle gentilizie, case palazziate e quartieri di lignaggio, dal palazzo Mariconda al palazzo Ricciardelli”