E’ l’allontanamento della città dalle sue radici, rappresentate dal cuore antico, ad emergere con forza dal confronto con lo scrittore Franco Festa nell’ambito del secondo appuntamento del Tè letterario promosso da InfoIrpinia. “Al centro dei mie romanzi c’è, innanzitutto, Avellino – spiega Festa – una città uguale a sé stessa fino agli anni ‘50. Vive intorno al Duomo e si struttura intorno al commercio di Via Nappi, al Corso con i suoi palazzi signorili con cortili e il Viale dei Platani con la sua alternanza di bassi e ville. Una città popolata da un ceto di artigiani, operai, piccoli imprenditori con uno straordinario tessuto commerciale. Sarà, poi, l’assalto urbanistico successivo agli anni ‘50 a decretarne lo sventramento, con le espulsioni delle fasce sociali più umili dal centro. Nascono le periferie, dalla Ferrovia alla Rione Aversa, i fiumi vengono tombati, sui colli si sviluppa una fortissima speculazione edilizia. La città diventa luogo di immigrazione di quel ceto legato al potere degli uffici. Il capoluogo subisce una trasformazione ma continua ad essere viva”. Una storia, quella della città, che sale anche alla ribalta nazionale “Nel 1965 in una chiesa della periferia, la chiesa di San Francesco della Ferrovia, compare uno straordinario murale che racconta l’orrore della guerra, conquistando le cronache nazionali. Altra eco fortissima è quella del presepe di San Ciro con le foto dello sterminio del Vietnam. Ed è proprio a San Ciro che si forma una generazione intera, pronta a impegnarsi in politica e a provare a rinnovarla”.
Festa rievoca anche le speranze legate alla stagione di una nuova classe dirigente, raccoltasi intorno a Nacchettino Aurigemma con il sostegno dei comunisti, che provava a immaginare una città diversa, a partire da quartieri che rispondessere ai bisogni della gente, esempio di ciò che Avellino avrebbe potuto essere e non è stata. “Negli anni ‘70 la città si chiude su sè stessa, con la risposta tragica di tanti giovani al disagio crescente attraverso la scelta di aderire alle Brigate Rosse fino al terremoto. Tutto cambia dopo il sisma, la città è divisa in due, con l’area di Rampa Macello e Sant’Antonio Abate rasa al suolo, l’arrivo di un ‘immensa quantità di denaro pubblico e l’ingresso di criminalità. A prendere forma è un’altra Avellino con l’abbattimento del centro storico, senza distinzione alcuna tra edifici che dovevano essere abbattuti e altri che potevano essere salvati. Avellino gira la faccia al centro storico che oggi vive una sofferenza infinita. Immaginavamo che la Dogana potesse rappresentare un simbolo di rinascita e speriamo che possa essere così. Ma se gli avellinesi tradiscono il centro storico è difficile immaginare il futuro. Oggi esistono riferimenti culturali importanti, dal Cimarosa all’agrario De Sanctis e spazi di resistenza ma non hanno peso sul dibattito legato al capoluogo. Viviamo in una città che ha perduta la dimensione del futuro. E’ immersa nell’eterno presente delle sue feste. Una città da cui i giovani continuano ad andare via” Spiega come “Siamo stati una città importante con una borghesia che aveva cura del capoluogo”.
E ribadisce come “l’unica speranza è legata alle nuove generazioni che sono scese in piazza intorno a temi importanti. Da parte nostra, possiamo continuare a portare avanti la nostra testimonianza civile” Ricorda come il noir sia il mezzo più potente per raccontare l’anima scura di una città, “per andare oltre il perbenismo imperante e svelare le ipocrisie su cui si sono retti i cambiamenti della comunità”. Una riflessione, quella di Festa, che si trasforma in un confronto con numerosi interventi dei presenti. E’ il professore Toni Iermano a soffermarsi sulla decadenza sociale e politica del capoluogo, frutto dell’arrivismo senza etica né ideali della classe dirigente “che non si identifica più con le elite. Si è persa l’idea della politica come professione, diventata strumento per risolvere problemi personali con la nascita di comitati di affari con il risultato di favorire l’allontanamento dalla politica. Oggi più che mai c’è bisogno di partecipazione e di idee”. Emilia Cirillo ricorda come sono proprio i giovani a chiedere che le generazioni più adulte, le élite culturali, tornino a farsi guide, voce, riferimento mentre Gerardo Troncone ripercorre la storia dei luoghi del territorio. Un incontro che diventa l’occasione anche per ricordare Dario Bavaro grazie alle testimonianze di Francesco Celli e Federico Curci “un’anima straordinaria che ha accompagnato il nostro percorso fin dall’inizio, con grazia, intelligenza e dolcezza. Ieri l’organo a vento sulla rupe di Cairano ha suonato il suo concerto più bello”




