E’ una riflessione sul presente e il futuro, dal caos che deriva dall’esplosione dei social alla forza delle rivoluzioni, quella che consegna il regista rumeno Andrei Ujica, presidente della giuria del festival Laceno d’oro. “Le mie pellicole – spiega, intervistato da Aldo Spiniello e Sergio Sozzo, con la traduzione di Martina Zigiotti – sono sempre state una riflessione sulla storia e in particolare sulla seconda metà del 900, quando a dominare era ancora l’immagine analogica ed era possibile usare la fotografia come documento per ricostruire un processo storico. Oggi non è più possibile, si fa fatica a distinguere ciò che è autentico da ciò che non lo è, non sono più un documento affidabile” . Quelle immagini che, invece, sono centrali nel racconto della rivoluzione del 1989 in Romani contro Ceausescu in “Videograms of a revolution”: “La televisione ha svolto un ruolo cruciale in quei giorni, con l’occupazione da parte dei ribelli della sede dell’emittente nazionale. Ecco perchè abbiamo cercato di raccogliere foto e video da chiunque ne avesse fatti. Sono queste macchine fotografiche o videocamere i veri protagonisti. Alla ricostruzione della rivoluzione attraverso le immagini ho scelto di affiancare, poi, la decostruzione dell’ultimo discorso di Ceausescu”. Spiega come “Non si può guardare agli eventi storici senza tenere in considerazione il mezzo attraverso cui sono stati tramandati, penso ai poemi di Omero agli albori della civiltà, al teatro con Shakespeare, al romanzo nell’Ottocento o al cinema nella narrazione del ventesimo secolo. Poi, è arrivata la televisione con la trasmissione dello sbarco in Normandia, un tempo che si interrompe poco dopo la rivoluzione di Bucarest. Ora non capiamo cosa stia succedendo, ci troviamo di fronte a miliardi di occhi che vedono, che raccontano, è come essere tornati indietro, prima dell’invenzione dell’alfabeto”.
Ribadisce di non avere fiducia nell’arrivo di nuovi filosofi o in quelle frasi ad effetto capaci di prevedere trasformazioni o processo. Ma non smette di credere “nelle rivoluzioni che ci saranno fino alla fine del mondo, poiché l’impulso al cambiamento è innato nell’uomo. Tuttavia, perché si possa fare una rivoluzione bisogna individuare il nemico e non è sempre facile”. Ammette come troppo spesso le rivoluzioni, dalla rivoluzione francese a quella rumena, si siano tradotte in farsa, “fino ad essere depotenziate ma è un rischio che si corre anche in democrazia, pur partendo da grandi idee”. Ribadisce come l’esplosione dei social renda difficile raccontare l’attualità e la politica, “ci troviamo di fronte a una polifonia isterica che rende impossibile una discussione seria”. Sottolinea gli errori della sinistra, “dobbiamo farci un esame di coscienza se il discorso progressista sembra essere in crisi. Ciascuno ha la sua parte di colpa”. Spiega come il pericolo della manipolazione esistesse prima dell’intelligenza artificiale “Accadeva anche con gli altri media, il pericolo di una manipolazione dell’opinione pubblica c’è sempre stato”. Malgrado ciò, si dice ottimista sul futuro “Sono convinto che assisteremo al declino del potere americano, nuovi mondi stanno arrivando, non esiste oggi nulla che possa accomunare tutti. Ciascuno è chiuso nella sua bolla. Basta pensare alla popolarita’ del pop coreano tra i giovani'”. Il Laceno d’oro lo premia con il riconoscimento alla memoria di Pasolini, a cui il regista ha dedicato un corto “2 Pasolini” “Il mio e’ un omaggio a un intellettuale e regista straordinario, autore di un capolavoro come ‘Il Vangelo secondo Matteo’. A cui ho voluto affiancare quel documento rappresentato dai ‘Sopralluoghi in Palestina’ quando immaginava di ambientare lì il film fino a scoprire che la modernità aveva trasformato quelle terre. Pasolini ci propone Gesù come un protorivoluzionario. Basti pensare alla scena in cui caccia i farisei dal Tempio e risuonano i canti dell’armata rossa. Perciò ho scelto di citare nei titoli di coda anche un personaggio come Tupac Shakur, considerato un profeta dalla sua gente. Mi sembrava ci fosse un collegamento tra Gesù, Pasolini e Tupac”.







