di Virgilio Iandiorio
Alfonso Silvestri (Pratola Serra 1911-Napoli 1997), funzionario dell’Archivio di Stato di Napoli, definito da Sosio Capasso “studioso di grande rilievo, ricercatore paziente, interprete fedele e coscienzioso dei documenti rinvenuti”, nella sua monografia “La Baronia del Castel di Serra “, Ist. di Studi Atellani 1993, parte I, p.43.48 ha trascritto un interessantissimo documento conservato nell’archivio.
Siamo nella prima metà del XVI secolo, i Francesi con Odet de Foix, conte di Lautrec, sciamano nel Regno di Napoli per cacciare via gli Spagnoli. Nel pieno furore delll’invasione dell’esercito francese, si colloca l’episodio dell’occupazione del Castello di Serra, nel Principato Ultra, che avvenne tra il febbraio e l’estate del 1528.
Nel 1543 il barone, Paolo Antonio Poderico, rivolge questa istanza anche a nome dell’Universitas di Serra al viceré Pedro de Toledo, per essere dispensati da” li excessivi pagamenti et contributione de allogiamenti con altre necessitate occorse per le indisposicione deli tempi”.
Il motivo è presto detto:” essendo il dicto Castello (di Serra) de poco habitacione (non abitato) de vaxalli per non posserno soffrire li detti pagamenti, sono tutti partiti et dishabitato (rimasto disabitato) il dicto Castello”. L’Università del Castello di Serra aveva fatto già pervenire richiesta dello stesso tenore alla Gran Corte:” Come per causa della guerra et ultima invasione del presente Regno essa povera Università, per li vari allogiamenti che hanno patuti, restò tanto ruinata et dishabitata che ad pena po’ vivere et sono andati mendicando et magnando herbe, come sono al presente”.
Si invita la Regia Camera a prendere le informazioni:” como la dicta Università de Serre fo sacchizata da le gente francese et spagnole et tucta la ruynarono de robbe et possessione et se pigliaro fino a le donne et ogno dì erano sacchizati, atteso (tenuto conto che) dicta terra sta a lo passo (strada di passaggio), et ruynarono ancho le case, le quali sono coperte de herba per non se posserno fabricare per li patruni, stante loro povertà, et tanto et tale è stata dicta ruyna, non ce è restata quasi persona nisciuna, né in quella è animale né bove alcuno con li quali possessero arare et cultivare lloro possessione, et quilli poco homini che ne sono rimasti, si non fosse per lo Barone de dicta Terra che li manutene, se ne anderiano como li altri, et in tanta extrema povertà si trovano che vanno per la maior parte magnando herbe selvagie et le lloro possessione et vigne sono talmente ruinate et imboscate (diventate una boscaglia) che non se ponno più redurre ad cultura”.
Credete, voi, che oggi le cose siano cambiate? E che le guerre in corso procurino meno danni alle popolazioni inermi che si trovano coinvolte in esse? Cinque secoli fa, in casi simili, si rivolgevano le suppliche per avere un aiuto al viceré di Napoli. Oggi non si sa più “chi santo pregare”, come diceva una canzone degli anni ’60, perché i lestofanti che provocano le guerre sono sordi alle preghiere di chi ne paga le conseguenze.



