di Stefano Carluccio
La qualità della vita è diventata negli ultimi anni uno dei principali parametri attraverso cui leggere lo stato di salute dei territori italiani. Non si tratta soltanto di reddito o occupazione, ma di un insieme articolato di fattori che comprendono ambiente, servizi, sicurezza, demografia, lavoro, cultura e coesione sociale. La recente pubblicazione dell’ultima edizione della classifica sulla qualità della vita elaborata dal Sole 24 Ore restituisce una fotografia chiara, ma al tempo stesso complessa, del Paese e colloca l’Irpinia in una posizione che invita a una riflessione profonda, lontana sia dall’autocompiacimento sia dal pessimismo cronico.
Ancora una volta il vertice della graduatoria è occupato da province del Nord, in particolare del Nord-Est. Trento, Bolzano e Udine guidano la classifica nazionale, confermando un modello territoriale che unisce buona amministrazione, servizi efficienti, opportunità di lavoro e un forte investimento sul capitale umano. Il Sud, al contrario, continua a occupare le ultime posizioni, evidenziando divari strutturali che resistono nel tempo e che le politiche pubbliche faticano a colmare in maniera sistemica.
In questo quadro generale, la provincia di Avellino si colloca in una posizione intermedia della classifica nazionale, ma emerge come la migliore in Campania. Un dato che, letto isolatamente, potrebbe apparire marginale, ma che assume un significato rilevante se inserito nel contesto regionale. L’Irpinia riesce infatti a precedere Napoli, Caserta, Salerno e Benevento, dimostrando una capacità di tenuta che non è affatto scontata per un’area interna del Mezzogiorno, spesso penalizzata dalla distanza dai grandi centri urbani e dalle principali direttrici infrastrutturali.
La posizione occupata da Avellino non racconta di un territorio senza problemi, ma di una realtà che, pur tra mille difficoltà, mostra segnali di equilibrio rispetto ad alcune delle variabili più critiche. La qualità dell’ambiente, la minore pressione urbana, una percezione diffusa di sicurezza e una dimensione comunitaria ancora viva contribuiscono in modo significativo alla valutazione complessiva. Sono elementi che pesano sempre di più nelle scelte di vita delle persone, soprattutto in una fase storica segnata dal ripensamento dei modelli di sviluppo e dalla ricerca di contesti più sostenibili.
Sul fronte economico e occupazionale, tuttavia, l’Irpinia continua a pagare un prezzo elevato. Le opportunità di lavoro restano limitate, in particolare per i giovani e per le professionalità più qualificate, alimentando un flusso migratorio che priva il territorio di energie fondamentali per il proprio futuro. La mancanza di un tessuto industriale solido e la fragilità di molte imprese locali incidono negativamente sugli indicatori legati al reddito e alla stabilità lavorativa, che rappresentano uno dei principali punti deboli nella classifica.
Anche i servizi pubblici, pur non raggiungendo livelli critici, mostrano margini di miglioramento significativi. Trasporti, sanità e infrastrutture digitali sono ambiti sui quali il territorio irpino è chiamato a compiere un salto di qualità, soprattutto se vuole rendersi competitivo e attrattivo non solo per chi già vi risiede, ma anche per chi potrebbe scegliere di tornare o di investire. La qualità della vita, infatti, non è un concetto statico, ma il risultato di un equilibrio dinamico tra diritti, opportunità e condizioni materiali.
Dal punto di vista demografico, l’Irpinia riflette le tendenze tipiche delle aree interne: invecchiamento della popolazione, calo delle nascite e progressiva riduzione dei residenti. Tuttavia, a fronte di questi dati, resistono elementi di forte coesione sociale e identitaria, difficilmente misurabili attraverso gli indicatori statistici, ma essenziali per comprendere il senso di appartenenza che lega le comunità al territorio. Borghi, tradizioni, reti associative e una dimensione relazionale ancora solida rappresentano un patrimonio immateriale che contribuisce in modo concreto al benessere quotidiano.
Il confronto con altre province del Sud mette ulteriormente in risalto la specificità irpina. Napoli, ad esempio, pur essendo un grande polo urbano e culturale, si colloca nelle ultime posizioni della classifica nazionale, schiacciata da problemi strutturali legati a traffico, servizi, sicurezza e disoccupazione. L’Irpinia, proprio grazie alla sua dimensione meno caotica e più equilibrata, riesce a ottenere risultati relativamente migliori, dimostrando che la qualità della vita non coincide necessariamente con la grandezza o la centralità geografica.
Resta però aperta la questione delle potenzialità inespresse. L’Irpinia è una terra ricca di risorse ambientali, culturali ed enogastronomiche, riconosciute ben oltre i confini regionali. Vini di eccellenza, paesaggi incontaminati, borghi di grande valore storico e una tradizione agricola di qualità costituiscono un capitale enorme, che potrebbe tradursi in sviluppo sostenibile e occupazione se adeguatamente valorizzato. Il turismo lento, le filiere corte, l’innovazione in agricoltura e la rigenerazione dei piccoli centri rappresentano alcune delle strade possibili per migliorare concretamente la qualità della vita.
È importante, infine, ricordare che le classifiche non sono sentenze definitive, ma strumenti di analisi. Servono a individuare punti di forza e criticità, a orientare le politiche pubbliche e a stimolare un dibattito consapevole sul futuro dei territori. Per l’Irpinia, la posizione raggiunta nella classifica 2025 può essere letta come un segnale incoraggiante, ma anche come un invito a non accontentarsi.
La qualità della vita non si misura soltanto nei numeri, ma nella possibilità di restare, di costruire un progetto di vita, di lavorare e crescere in un territorio che sappia offrire opportunità senza rinunciare alla propria identità. In questa sfida, l’Irpinia ha ancora molto da dire, a patto che sappia trasformare le proprie fragilità in occasioni di rilancio e le proprie ricchezze in sviluppo condiviso.



