E’ una cerimonia carica di solennità ed emozione quella che conclude il Giubileo in una cattedrale di Avellino gremita. Ad officiarla il vescovo Arturo Aiello, nella ricorrenza della Festa della Sacra Famiglia. Aiello ricorda come “L’amore è sempre provato da qualche ostacolo, per ogni amore ci sono nemici e difficoltà da affrontare. Così è per Giuseppe e Maria che temono per il loro figlio. La famiglia è luogo di incontro ma anche di scontro, per Gesù come per noi, ma è proprio il confronto ad essere fruttuoso”. Ammette come “troppo spesso i giovani non sanno affrontare i problemi, alle prime difficoltà sono pronti a separarsi”. Invita a fare i conti con i propri limiti e a non arrendersi. Poiché “Malgrado la crisi istituzionale e culturale che vive l’istituzione della famiglia, non dobbiamo smettere di credere nel suo valore, dobbiamo incoraggiare i giovani a sposarsi, far comprendere loro che essere una famiglia è bello”. E rivolgendosi ad Antimo Femiano e Tony Limongiello che attendono la proclamazione sacerdotale, alla presenza dei sindaci di Atripalda e Sant’Antimo Paolo Spagnuolo e Massimo Buonanno, ricorda come “Abbiamo bisogno di preti che sappiano accompagnare le famiglie, che restano uno spazio centrale nella società. Se la politica ne prendesse coscienza, individuerebbe gli strumenti per sostenerla”. Spiega di aver voluto fortemente che l’ordinazione sacerdotale di Antimo e Tony si tenesse nello stesso giorno della chiusura dell’anno giubilare, per restituire un significato di speranza alla porta che si chiude. Sottolinea come “La porta è una sola, è Gesù Cristo, attraverso questa porta, aperta da Papa Francesco e in attesa di essere chiusa da Papa Leone, tanti hanno trovato misericordia, hanno formulato santi propositi o si sono messi in cammino. Ma la domanda a cui rispondere è una sola: da che parte staremo quando la porta sarà chiusa? C’è motivo di tristezza quando la porta è chiusa, solo se siamo al di là di essa, poichè è il segno della nostra esclusione. Ma la certezza è che attraverso la parola, attraverso i segni sacramentali, chi avrà varcato la porta potrà accedere alla salvezza”. Rivolge un messaggio forte ai due sacerdoti, ricorda come Tony, docente di filosofia, abbia desiderato essere un prete fin da bambino e lo sia sempre stato anche senza voti, per poi comprendere che l’impegno quotidiano da ministro francescano non sarebbe bastato senza ricevere il sacramento. Di Antimo loda la testardaggine, il non aver mai voluto demordere dal proprio intento, poichè non bisogna mai smettere di bussare. Spiega come “siamo anche noi una famiglia, sia pure sgarrupata in cui dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri”, si dice orgoglioso delle 5 ordinazioni sacerdotali dell’ultimo anno “Un anno benedetto”. Mette in guardia dal parrocchialismo di chi tiene la propria parrocchia chiusa ai fedeli. E non smette di incoraggiare i giovani sacerdoti, salutati dall’applauso dei fedeli.





