Nel deserto di idee di questa campagna elettorale dove si parla in questi giorni dei rimborsi parlamentari dei cinque stelle e dove il tema dominante è quello dell’immigrazione la grande incognita è quale possibile maggioranza verrà fuori dopo il 4 marzo. E’ la regola del proporzionale, soli al voto e in compagnia dopo. La politica dei partiti è entrata da tempo in crisi sostituita da un individualismo esasperato.
A sorprendere dunque non è tanto l’ovvietà di un distacco con gli elettori che si è consumato da tempo ma quanto che il possibile recupero si concentri tutto sulla “pancia”, su proposte immediate senza un lungo respiro. E così se ci voltiamo indietro c’è la quasi certezza che anche quest’ultima legislatura sia stata sprecata. Nessuno dei problemi che si presentavano nel 2013 è stato risolto anche se qualcosa è stato fatto ma più per sopravvivenza che per convinzione. Qualche provvedimento economico e una decisione finalmente presa sui diritti civili. Ma l’idea di una riforma vera del welfare e delle istituzioni è andata ancora una volta sprecata. E soprattutto dopo la bocciatura del referendum costituzionale sarà praticamente impossibile convincere gli italiani che le riforme sono davvero necessarie mentre al contrario è sempre più indispensabile dare una veste nuova a istituzioni obsolete. Le prossime elezioni difficilmente daranno maggioranze certe o stabili. Il nostro sistema si è modificato. Non più due contenitori contrapposti ma quattro poli che si fronteggiano e hanno poco voglia di collaborare tra loro. E così i problemi di cinque anni fa sono gli stessi di oggi. Nel centrodestra, che pure resta la coalizione favorita, è tutta in piedi la successione a Berlusconi che è ancora il dominus di quell’area. La vera novità è il cambiamento della Lega. Non più forza secessionista ma soggetto politico con ambizioni nazionali. Una destra radicale come quella francese di Marine Le Pen e simile ad altre che si stanno imponendo in tutta Europa. Un cambiamento che sta producendo conflittualità con gli alleati che inevitabilmente si ripercuoteranno nell’immediato futuro. L’altra incognita è il Movimento Cinque Stelle. In cinque anni le cose sono apparentemente cambiate. E’ cresciuta una nuova classe politica che però per diventare dirigente deve ancora maturare. I “grillini” guidano delle grandi città e sono pronti o almeno così dicono al governo del paese. Restano però le incognite di una democrazia interna molto debole. Al governo attuale c’è il PD. Il partito che ha segnato la scorsa legislatura. Tre premier: Letta, Renzi e Gentiloni e una clamorosa rottura interna che inevitabilmente sta avendo conseguenze in campagna elettorale. Renzi è diventato segretario dopo la cosidetta non vittoria del 2013 e oggi se le elezioni non dovessero andare nel verso giusto si aprirebbe nel partito una crisi simile a quella di cinque anni fa. Ha scommesso su un partito più moderno e meno di sinistra. Operazione forse riuscita ma paga adesso il prezzo della scissione. Una sinistra divisa è più debole e per lui è quasi impossibile ricucire con chi è uscito sbattendo violentemente la porta. Litigi tra leader e nessuno a chiedersi come ha scritto Marco Damilano “cosa è successo i profondità e da anni nelle periferie e nel centro, nelle vite dei ragazzi, nelle curve degli stadi, nei quartieri caseggiati che una volta erano roccaforti della sinistra, non solo in senso elettorale ma per un senso di appartenenza e di solidarietà e che oggi sono monumenti di ostilità nei confronti di migranti e degli altri. La solitudine in cui ciascuno è stato lasciato ad affrontare il suo problema, di lavoro, di salute, di istruzione, di mobilità urbana, resterà il ricordo più intenso di questi anni grigi”.
di Andrea Covotta edito dal Quotidiano del Sud