Oggi la complessità di un racconto sul Mezzogiorno non può più consentire di restare intrappolati in stereotipi che ormai appaiono superati.
Bisogna dare spazio e tempo ad un Sud che sia altro, diverso da quello che abbiamo conosciuto fino a ieri, a quei volti diversi del Mezzogiorno che non si conoscono ancora e vanno inquadrati in un orizzonte nuovo.
In questa cornice ancora tutta da disegnare c’è purtroppo un quadro desolante certo: il nostro Paese appare sempre più spaccato in due, con un Mezzogiorno costantemente sotto la voce “impoverimento”.
In questo Sud precipitato a fondo, la Campania rappresenta il fanalino di coda di un Mezzogiorno che non compare più sulle lancette della storia e chi sta “all’interno” di una regione trafitta da mille tragedie, che potenzialmente potrebbe essere tra i paradisi d’Europa e invece è stata trasformata in un inferno, ha addirittura visto quelle lancette spostarsi all’indietro, agli anni dell’emigrazione e dello svuotamento di interi paesi, con la resa ad un declino definitivo, consegnando interi territori sguarniti al saccheggio e al malaffare.
Parte di questo Mezzogiorno raccontato con la sua estrema solitudine, con le sue infinite partenze, con i suoi Sud ricostruiti “altrove”, è ormai soltanto una proiezione olografica di sé stesso.
A quale Sud, allora, ci si rivolge quando si predica la litania del rilancio, della speranza di resurrezione, quando si ripete lo stucchevole refrain del cambiamento?
Quello che è rimasto è un Mezzogiorno disilluso, disincantato, senza più pretese, dopo tante attese.
In tanti pensano ormai che il Sud non debba più aspettarsi molto.
Soltanto il Meridione può redimere sé stesso, a patto che vi siano uguali condizioni di partenza rispetto al resto del Paese per ridurre quel gap Nord-Sud che rappresenta la vera emergenza di questa Italia che non vuole crescere.
Ma se i governi che si alternano continuano a trattare il Mezzogiorno come minorità, e con minorità, è difficile che il Meridione risalga dal baratro nel quale è precipitato e sta letteralmente sprofondando.
Se, ad esempio, si resta inermi davanti all’arma di distruzione del Sud, quell’autonomia differenziata che puó rivelarsi come il colpo fatale inferto alle residue speranze del Mezzogiorno di risollevarsi, e nessuno protesta, non si riesce proprio a trovare la ragione per la quale si possa scommettere sulla risalita di questa parte del Paese che continua ad essere umiliata.
In tempi in cui si vorrebbe, non soltanto in maniera provocatoria, abolire il Mezzogiorno, si sta procedendo, nei fatti, ad abrogare ogni politica a favore dell’area più debole dell’intero sistema-Paese.
Questa Italia senza slanci, che esce fuori dalla ristrettezza di una visione angusta e anacronistica, ha bisogno del suo Sud, non può farne a meno, anzi ha bisogno dei suoi Sud, di un Mezzogiorno declinato al plurale.
Testimonianze che rivelano che un altro Sud è possibile, con esperienze che non si conoscono, percorsi che si ignorano, e territori che si aprono al confronto.
Quando il Sud è capace di intessere intrecci di trame nuove, di orditi che parlano di presente e soprattutto di futuro, di parlare sì alla pancia, ma anche alla testa della propria gente, ecco che il Mezzogiorno si riscopre, e comincia a camminare sulle proprie gambe.
E se rinasce il Sud, è l’Italia tutta che rinasce.
La direttrice Nord-Sud, che rappresenta il cardine su cui poggia il dualismo tra due aree del Paese così disomogenee, sembrerebbe non essere più la coordinata storica con la quale intersecare gli assi cartesiani dello sviluppo e della crescita economica per rimuovere vecchie e nuove disparità.
I poli della storia contemporanea, dentro i quali si sono addensate le contraddizioni irrisolte del Meridione, e quindi del Paese, potrebbero cambiare e al rapporto, alla direttrice Nord-Sud, potrebbe sostituirsi un asse diverso.
Il Futuro è a Sud, e sarà una certezza soltanto quando una classe dirigente locale e un governo nazionale, degni di questo nome, smetteranno di trattare il Mezzogiorno come minorità e i meridionali ne saranno pienamente consapevoli.
di Emilio De Lorenzo