Sembrava che, con la scelta di appoggiare la candidata tedesca alla Commissione Ue, il M5S avesse compiuto il grande passo verso la definitiva accettazione delle responsabilità di governo. E avesse, perciò, abbandonato le sue prese di posizione proprie di una fase ormai superata. Invece, il calendario politico del M5S sembra essere tornato a più stagioni indietro, con la scelta assolutamente inedita – da parte del capo del partito di maggioranza relativa – di ordinare l’uscita dei suoi senatori dall’aula di palazzo Madama sul Russiagate. Opzione contraria ad ogni galateo istituzionale, perché il premier Conte, lasciato solo, era stato chiamato a relazionare. Ma soprattutto autolesionista, perché ha fatto ripiombare il M5S nei suoi fantasmi del passato. Ha riportato alla luce contrasti appena attenuati ma sempre pronti a riesplodere. E ha riacceso i tradizionali dubbi sulla vera natura del movimento e sulla stessa idoneità di Di Maio a guidarlo. Maldestro, poi, il tentativo di recuperare gli oltranzisti della Tav annunciando una mozione contraria. E questo solo qualche giorno dopo che il premier – aveva dichiarato troppo alti i costi per fermarla, proprio seguendo la linea del M5S e cioè quella del rapporto costi-benefici! Ed è ancora aperto il bubbone-Ilva.
Di Maio è riuscito finora ad ottenere il risultato di far chiudere la finestra elettorale. E forse ad avviare a soluzione, in prospettiva, la questione dei due mandati, grazie al cosiddetto “mandato zero” per ora applicabile solo ai consiglieri comunali. Modifica, però, approvata sulla piattaforma digitale da un numero fortemente ridotto di iscritti (circa 25mila), a dimostrazione di un appeal identitario in forte diminuzione. Di Maio non è riuscito a rimontare né i consensi suoi né del suo Movimento. Senza precedenti l’irresponsabile polemica con Salvini sulla sicurezza dopo l’omicidio del vice-brigadiere dei carabinieri Cerciello Rega. Anche la ventina di voti mancati al decreto sicurezza bis alla Camera – dove il Presidente Fico ha abbandonato platealmente l’aula – non sono incoraggianti per l’esito finale in Senato, perché la maggioranza conta su pochi voti di margine. Questo stato di cose ha fatto improvvisamente rivivere tutte le contraddizioni di una formazione troppo rapidamente cresciuta perché pronta a cavalcare qualunque insoddisfazione e qualunque dissenso. Ma ancora oggi in fortissime difficoltà nel passare dalle proteste alle proposte. E ora hanno ritrovato voce e forza coloro che vogliono mettere fine all’esperienza giallo-verde. Gli arrabbiati per i troppi cedimenti all’alleato. I delusi per gli scarsi risultati conseguiti dal governo. Gli smarriti che non si ritrovano in quel che il M5S è diventato. I libertari che sono costretti a respirare un’aria da caserma. Gli insofferenti rispetto all’uomo solo al comando. Insomma, un enorme calderone di aspirazioni diverse pronto ad esplodere. E questo anche a prescindere dalle legittime aspirazioni personali di alcuni esponenti!
Le ultime prese di posizione del Movimento hanno determinato uno sconquasso in Parlamento e nell’opinione pubblica. Ingenerato equivoci nei rapporti con il premier. Evidenziato un grave isolamento politico. È confermato le gravi oscillazioni di atteggiamento su argomenti fondamentali per la vita del Paese. Sulla Tav, del resto, sono mesi che la favoletta del sì o no viene ripetuta ad uso dei gonzi. La verità è che da mesi i bandi per l’opera sono partiti. E il governo, quando poteva, non ha fatto nulla per fermarli. Anzi, ha confermato, da ultimo qualche giorno fa, gli impegni del nostro Paese. L’incapacità di recidere per tempo i nodi su questo ed altri dossier ha fatto sì che, ormai stabilmente, si fronteggino con alterne fortune due componenti interne. Esse si accusano reciprocamente di essere “il partito delle grandi opere” e “il partito dei no”. Di Maio è finora riuscito a barcamenarsi, ma ora troppe nubi si affacciano all’orizzonte. E contemporaneamente. Insieme alle ombre di Di Battista, di Fico, esse minacciano di costituire un ostacolo insormontabile per il capo politico M5S. Egli rischia di restare vittima della stessa elasticità tattica a lui imputabile, dannosa perché senza alcuna visione strategica!
di Erio Matteo