Sembra sempre piu’ diffusa la consapevolezza che l’attuale periodo di quarantena pandemica per molte persone, prevalentemente anziane, genera inevitabilmente l’allargamemto dell’orizzonte della riflessione interiore con la polarizzazione del pensiero verso chi vive, piu’ degli altri, la sofferenza collegata al coronavirus. Indubbiamente i primi a soffrire di piu’ sono i poveri, i senzatetto, i disoccupati, oltre ovviamente ai ricoverati negli ospedali in terapia intensiva. Di una categoria di persone, pero’, se ne parla poco, forse perché appartenente a spazi relazionali particolari, fuori dal circuito urbano consueto e senza possibilita’ comunicative con l’esterno: sono i detenuti rinchiusi in cella, preoccupati per il continuo aumento dei contagi a causa di soluzioni alternative al sovraffollamento. A fronte di questa triste situazione i cappellani delle carceri italiane hanno inviato una lettera al Guardasigilli per rappresentare una situazione ingestibile che necessita di soluzioni legislative alternative alla detenzione. In realta’ non si tratta di proposte affrettare né di ordine ideologico per aprire le porte delle carceri a detenuti che, per legge, sono tenuti a scontare pene come momento risarcitivo verso la societa’ esterna regolata da un ordinamento giuridico ben preciso.Si tratta, invece, come da piu’ parti sottolineato, di misure di civilta’ giuridica consolidata che porrebbe freno ad una condizione inumana per chi gia’ era in sofferenza che attualmente rischia di essere flagellato dal coronavirus. La situazione attuale presenta ben 658 detenuti infettati, 65 impiegati dell’amministrazione penitenziaria e 824 agenti di custodia colpiti dalla pandemia. Quindi una polveriera che potrebbe eplodere ulteriolmente se non si previene il peggio. Viene sostanzialmente chiesto un gesto di clemenza necessaria per amnistia e indulto da parte di associazioni e parlamentari di vari schieramenti partitici firmatari dell’appello per la riscrizione delle regole necessarie per “deliberare” i provvedimenti necessari per decongestionare le celle.
Viene, altresi’, invocata la riforma degli uffici di sorveglianza presso i tribunali. Tutta l’innovazione legislativa complessivamente invocata è finalizzata al disegno primario del legislatore penitenziario per il reinserimento sociale del detenuto con non pochi risvolti positivi per l’intero tessuto comunitario. Con la profonda consapevolezza di chi scrive, per la sua pluriennale esperienza professionale ed umana , maturata nelle carceri campane, va ricordato che il disegno delineato è stato quello stesso che, oltre un secolo e mezzo fa, traccio’ Don Bosco per concretizzare il suo grande teorema sociopedagogico del reinserimento sociale del detenuto. La pandemia in atto, è auspicabile, ci faccia riscoprire il valore persona ,sempre e comunque, con il dovere del nostro impegno umano e sociale.
di Gerardo Salvatore