I tifosi dell’Avellino che hanno visto la serie A o quelli ai quali è stata raccontata, non possono dimenticare l’immagine di Dino Zoff che lascia il campo per far posto ad Alessandrelli. E’ una domenica di 43 anni fa, il 13 maggio del 1979. La Juventus vince tre a zero ed è l’ultima partita del primo campionato degli irpini in serie A. Esce Zoff ed entra l’Avellino si dirà in seguito perché con il cambio del portiere quella partita finirà 3-3 ed oggi è considerata storica. Lunedì 28 febbraio Dino Zoff compirà 80 anni. Un monumento del calcio. In una recente intervista ha detto che i monumenti di solito finiscono male, o al massimo ci fanno il nido i piccioni. Lui però resta un monumento dello sport per bravura e professionalità. Ha giocato fino a quarant’anni. La sua impresa più bella resta il “Mundial” spagnolo del 1982 quando, dopo la finale contro la Germania, ha stretto con le sue mani forti la Coppa del Mondo vinta da capitano con il Presidente Sandro Pertini in tribuna, una serata entrata nella leggenda. La vera finale però si era giocata prima, la partita con il Brasile delle stelle e in quella gara all’ultimo istante la parata più importante della sua carriera. A distanza di 40 anni Zoff ricorda che la sua immagine preferita è ancora “la parata col Brasile all’ultimo minuto. Bella, importante, decisiva. Forse non la più incredibile sul piano tecnico, né la più bella su quello scenografico. Di certo quella con il quoziente di difficoltà più alto, per il peso, per il significato, per il momento. C’erano gli avversari vicino ed era fondamentale tenere la palla sulla linea, non respingerla anche perché non c’era la tecnologia e l’arbitro poteva sbagliarsi o suggestionarsi e vederla dentro… In quegli attimi ti passa tutto per la testa. I brasiliani esultavano, io non trovavo l’arbitro. Un secondo eterno. Mi chiamano ancora dal Brasile. Ho avuto un contatto con una radio, c’era Oscar il giocatore che aveva colpito la palla. Tu mi hai portato via la possibilità di esser qualcuno, mi fa. E vabbè son diventato qualcuno io! Lo sport è anche questo”. In quegli anni, tanto diversi da quelli di oggi, la storia calcistica la scrive anche l’Avellino. A Zoff non è facile fare gol, ci riesce su rigore Gianluca De Ponti detto Gil. E’ una domenica pomeriggio, il 2 dicembre del 1979, la Juve è la “signora” degli scudetti anche se non vincerà quel campionato, l’Avellino vuole continuare a restare tra i grandi del calcio e vincerà quella partita. Il Partenio è ovviamente strapieno, i tifosi esultano a tre minuti dalla fine del primo tempo quando l’arbitro Agnolin concede un rigore ai biancoverdi. De Ponti, maglia numero undici quel giorno, tira e spiazza Zoff che resta immobile al centro della porta. A differenza della canzone di De Gregori, il rigore tirato va dentro, ma non scalfisce la grandezza di un campione come Zoff che in un’occasione aveva detto che la sconfitta rappresenta la vera consapevolezza dell’atleta, il suo momento di crescita, perché si perde molto di più di quanto si vinca. Non è però il suo caso. Zoff ha perso poche volte e ha vinto molto: oltre ai Mondiali e agli Europei con la Nazionale anche sei scudetti e una coppa Uefa con la Juventus. Nella sua lunga carriera ha visto la trasformazione del Paese, è passato dal suo Friuli rurale alla Torino industriale della Fiat e si considera ancora un uomo di sport che “è una forma altissima di politica. Plasma l’uomo, lo educa, gli insegna ad avere rispetto per sé stesso, per gli avversari”.
di Andrea Covotta