È davvero triste dover constatare che le marce per la pace – quella di Roma e quella di Milano – hanno offerto l’ennesima dimostrazione che il rapporto tra la politica e la cultura della pace si è ridotto alla misera configurazione di più schieramenti, senza gli auspicati spazi di mediazione – almeno sul terreno drammaticamente gravido di disastri incolmabili – a sostegno della pace e della convivenza pacifica. L’unione di facciata delle manifestazioni, l’abbandono della maggioranza nella regione Lombardia di Letizia Moratti e la sua inopportuna apparizione sul palco di Calenda, un campo largo che non c’è più, offrono un quadro di apparente unitaria mobilitazione civile che offende la storia gloriosa del popolo italiano che, anche nei momenti più bui, ha mostrato di convergere realmente sul cammino unitario della democrazia e della pace. Tali manifestazioni sono state strumentalizzate da sedicenti leaders politici, assetati di ricercare spazi comunicativi per offrire una propria immagine significativa da protagonisti. Dopo l’ultima vicenda elettorale politica, con l’avvento della destra al potere, credo che esiste tuttora, in Italia non solo, una irrisolta questione di educazione civile alla pace, alla democrazia e alla condivisa capacità di mobilitazione pacifica per i valori universali non negoziabili, come quello della pace. È la sindrome diffusa del mancato consolidamento del “senso comune” della gente, di quelle che sono le responsabilità e le implicazioni che porta con sé il vivere coerentemente la cittadinanza democratica: manca ancora, in sostanza, quella sedimentazione e diffusione dell’ethos che costituisce il fondamento di ogni sana vita democratica e che avrebbe evitato il così facile cedimento alle parole d’ordine di forze politiche che, magari usando il lessico della libertà, la attaccano alle fondamenta. Bisognerebbe, attualmente, a partire dagli sforzi di rifondazione del secondo partito italiano, ragionare sul fatto che queste parole d’ordine hanno avuto e hanno un diffuso consenso che nasce dalla carenza di capacità di comprendere ciò che sta dietro ai programmi elettorali, prima, e di quelli attuali di governo. In sintesi si tratta di comprendere, con dignità culturale e responsabilità civile, la reale posta in gioco del conflitto politico. Le manifestazioni per la pace di Roma e di Milano erano un’occasione propizia per ribadire le ragioni, a partire dalla pace, di mobilitazioni comuni per promuovere il rispetto delle conquiste dei valori consolidati. A tal proposito ravviso la necessità di promuovere uno sforzo comune delle forze democratiche del nostro Paese, insieme ai corpi intermedi, per capire le ragioni che alimentano il consenso inconsapevole di larghissimi strati della popolazione che credono, in buona fede, di assecondare la crescita della libertà e del benessere economico e sociale, a quelle forze politiche che mirano a limitarla drasticamente: i primi provvedimenti governativi sono la dimostrazione di questo teorema, nonostante i preannunciati emendamenti. Ma le manifestazioni per la pace hanno rappresentato un’altra esigenza: il rischio di farsi da parte degli uomini di cultura, non casualmente assenti alle citate manifestazioni. Questo aspetto immiserisce il confronto pluralistico per il bene comune, a partire dalla pace. Attualmente il cortocircuito tra la politica e la cultura non avviene solo quando gli intellettuali, tradendo la propria primaria missione, scendono direttamente nell’agone politico. Scatta invece anche quando rinunciano a prendersi carico, con responsabilità e con chiarezza, al loro compito di cittadini, portatori di idee, di analisi e di proposte. Con questo loro sforzo non smetterebbero di essere quello che sono, cioè appunto “uomini di cultura” portando il contributo della loro ricerca, della loro mentalità, delle loro diverse e variegate competenze nell’arena pubblica. Il ruolo degli intellettuali, l’ho spesso evidenziato anche sulle pagine di questo nostro quotidiano, è quella di una di pedagogia sociale, non paternalistica o elitaria, ma umile e paziente, di cui la nostra democrazia ne ha urgente bisogno, oggi più che mai.
di Gerardo Salvatore