Almeno sul piano degli annunci per il Mezzogiorno qualcosa si muove. La premier Meloni ha aperto una pagina del suo diario e vi ha scritto che cosa bisognerebbe fare per risollevare il Sud dalla drammatica situazione in cui versa. Ha concertato con i ministri Giorgetti e Fitto che nella manovra in corso di discussione al Parlamento devono trovare spazio quattro provvedimenti a favore del Mezzogiorno. Chi dovesse credere che si tratta di proposte da “rivoluzione meridionale” rimarrebbe davvero deluso. In sostanza si tratta di riconfermare azioni già in itinere (crediti d’imposta e Zes, tra l’altro) definendo in modo generico gli aiuti alle imprese che operano nel Sud. Il percorso degli annunci non finisce qui. Quello per l’autonomia regionale ha fatto segnare un passo in avanti. Il ministro Calderoli e il governatore De Luca, dopo aversele dette di tutti i colori, si sono scambiati a Napoli complimenti e abbracci come se fossero due fidanzatini. Alla fine qualcosa si è mosso, ma sempre nell’ambito dell’annuncio: Calderoli si è impegnato a portare entro Natale (cioè fra pochi giorni) la bozza della proposta di legge sull’autonomia e entro sei mesi la definizione dei Lep ( Livelli essenziali delle prestazioni) dai quali dipende soprattutto la spesa storica che penalizza il Mezzogiorno rispetto al Nord. Se agli annunci si sostituiranno i fatti , si potrà allora dire che il Sud avrà finalmente una sua parte di “risarcimento” rispetto alle penalizzazioni subite per decenni. C’è poi il Pnrr, che va avanti a rilento e rischia di vanificare gli obiettivi strategici che si era posto, in particolare per le infrastrutture. Mi è capitato di ascoltare moltissimi sindaci e amministratori del Sud alle prese con la nuova normativa del governo, i provvedimenti delle regioni e l’impossibilità di stare dietro ai provvedimenti perché i loro uffici sono inadeguati, con un solo tecnico (quando non è in ferie o in malattia) e personale non qualificato ai fini della progettualità. Anche su questo, fedele all’appuntamento, c’è l’annuncio. “Agiremo sulla sburocratizzazione”, ha tuonato il ministro Calderoli, dimenticando il lavoro già fatto dal suo collega Brunetta che ha dovuto arrendersi di fronte agli ostacoli. Certo, se l’ “annuncite” è un cancro inguaribile e si manifesta a diversi livelli di responsabilità, non è solo essa la causa dei tanti mali del Mezzogiorno. Uno è il pensiero corto della classe dirigente politica e tecnica. Tocca in particolare la gestione del Pnrr. Gli amministratori, ma non tutti, credono di risolvere la questione con progetti campanilistici, che non vanno oltre la cinta municipale. Di progetti che riguardano la mobilità con grandi reti ferroviarie c’è solo qualche minima traccia. Come accade per le reti e la digitalizzazione che elimina le distanze e rende celeri i processi. Purtroppo a nulla è servita la lezione di Salvatore Pescatore volitivo presidente della Cassa del Mezzogiorno negli anni Cinquanta. L’altra condizione che fa dei meridionali un popolo “brutto, sporco e cattivo” è l’assenza di un pensiero lungo, di una visione con la trasformazione dei settori produttivi. Il Mezzogiorno ha tre direttrici di sviluppo: l’agricoltura, il turismo, i beni culturali. Logica vorrebbe che si potenziassero i settori a vocazione territoriale e non sempre, quelli come l’industria pesante, che sono in coma. Ci sarà mai un governo del Sud, nell’ambito dell’unità nazionale, in grado di decidere il futuro insieme all’Europa e ai paesi del Mediterraneo? Dipende dalla qualità della classe dirigente, molto spesso impreparata ad affrontare la realtà, altre volte suddita dell’acquisizione del consenso elettorale, poco importa se maleodorante. La malapianta non si annuncia, agisce.
di Gianni Festa