Sarà presentato il 15 marzo, nella sala consiliare del Comune di Castelfranci, “Io cerco l’infinito nei cieli dell’uomo”. Interverrà Alessandro Di Napoli, critico letterario, componente del Centro di documentazione Poesia del Sud, il poeta Giuseppe Iuliano, componente del Centro di documentazione Poesia del Sud, Mino Mastromarino, critico letterario, Paolo Saggese, dirigente scolastico. Pubblichiamo di seguito la postfazione al volume di Mino Mastromarino
di Mino Mastromarino
Dopo „Le parole altre‟, Generoso Cresta ci ha regalato un‟altra, benvenuta raccolta di poesie: “Io
cerco l’infinito nei cieli dell’uomo”. E‟ una conversazione perpetua tra l‟Io e il Mondo, quest‟ultimo inteso come Alterità, Natura e Amore. Non ricorrono quindi temi dominanti, non c‟è asfittica concentrazione su di una specifica questione. Di nostalgia, di paesologia, di declino demografico, di insopportabilità della vita di
provincia nemmeno un cenno. Signoreggia il soggettivismo, con qualche sparuta suggestione simbolista. Finalmente. L‟Io lirico affronta la sua crisi ma non si scinde, non si dissolve . Non aderisce alla sirene moderniste. Non si lascia ingolosire dal flusso emotivo. Preferisce rimanere saldo, integro. Jorge Luis Borges, in Sette sere, ci ha invitato a evitare la tentazione di parafrasare la scrittura poetica : “ Sentiamo la poesia come sentiamo la vicinanza di una donna, o una montagna , un’insenatura. Se la sentiamo immediatamente, perché diluirla in altre parole, che saranno di sicuro più deboli delle nostre emozioni ? ”. Per l‟impareggiabile scrittore argentino, il lettore è solo di fronte all‟ enigma della poesia. Anche il critico Alfonso Berardinelli, piuttosto che soffermarsi
sulla Poesia e sui poeti, ha sempre insistito sull‟unica, fertile possibilità discorsiva che fa seguito
alla lettura delle singole poesie. Si tratta di riconoscere e istigare il miracolo della meraviglia. Del poeta e, soprattutto, del lettore.
Un utile richiamo va alla perspicua antologia del prof. Di Napoli, intitolata appunto „Tra le forme della meraviglia‟, che indaga l‟epifania dello stupore nella poesia irpina contemporanea. La lettura attiva trasforma, amplia lo spazio e la fecondità poetici. Dunque, facciamo nostra l‟ambizione di Montaigne: « Un lettore perspicace scopre spesso negli scritti altrui perfezioni diverse da quelle che l’autore vi ha poste e intraviste, e presta loro significati e aspetti più ricchi». I versi ospitano rimandi, connessioni, escursioni, possibilità digressive: insomma, mostrano di
conoscere più cose di quante ne abbia insinuate l‟autore. Il titolo, nonostante l‟enfasi, lusinga il lettore promettendogli un insidioso rovesciamento acrobatico. Esso, a mezzo di sussiego metafisico, traspone l‟infinito dal cielo all‟uomo. La finitudine del quale muta nell‟infinito celeste. Tra le prime della silloge, quasi a suggerire un itinerario ermeneutico privilegiato, irrompe
„Mendicante‟:
<< Mendicante
chiudo nel sacco tarlato
tutte le illusioni
ora in un vicoletto senza sole
ora sotto il cielo stellato
al sorriso
dell’elemosina della vita>>.
L‟autocoscienza della ontologica miseria umana definisce e condiziona la relazione con l‟Altro,
ossia il Con–Esserci.
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In particolare, ci dispone alla corrispondenza con l‟esistenza, che infatti – e questo è un pregevole lampo lirico – non si dà una volta per tutte, ma si concede alla stregua della erogazione precaria e discontinua dell‟elemosina. Degna di sottolineatura, giacchè riuscita, è la metafora della vita come permanente oscillazione tra il pessimismo ( tarlo ) delle illusioni e l‟ottimismo iridescente del sorriso (esistenziale). La precisa formulazione della contraddizione onora l‟idea della espressione poetica quale esperienza del limite. Serve pure a delineare il perimetro concettuale di ciò che è notoriamente precluso alla razionalità: il simulacro della vita autentica.
Nello scrigno dei versi traspare la propensione dell‟Autore per l‟ombra. Il teatro della vicenda umana – sia che si tratti di un vicoletto senza sole, che di un cielo stellato – non è mai irradiato da luminosità piena o eccessiva. Tutte le sensazioni, tutti i sentimenti sono mediati da una luce fragile, quasi un lucore. In particolare, la percezione visiva, il potere-dovere di vedere cui è dedicata – evidentemente – la riportata poesia. Al senso uditivo, invece, sembra rivolgersi il testo di cosa sfugge :
<< Cosa sfugge
alle nostre orecchie
del pianoforte della vita:
forse il tono duro
dei volti riflessi
nell’osso bianco dei tasti
forse quel tono leggero che m’impronta pianista
a ricalcare la voce dei misteri >>.
Ma è solo un attimo, perchè subito interviene l‟equilibrio di una sinestesia.
L‟abilità lirica dell‟Autore intarsia ogni verso, attingendo con disinvoltura all‟udito ( le nostre orecchie, il tono, la voce dei misteri ), al tatto ( pianoforte della vita, i tasti, l’osso, m’impronta pianista, ricalcare), alla vista ( volti riflessi, l’osso bianco, misteri), non disdegnando però la contaminazione dell‟immaginario, dell‟ ultrasensibile.
Non manca l‟invettiva. Ecco che irrompe la coppia di ungulati componimenti, Cemento armato e Piange il salice:
<< Cemento armato
e finestroni di vetro
quattro pini geometrizzati
trapiantati nella terra
tra erbe selezionate
giardino etichettato
“ senza spine o erbacce”
E’ tutto l’essenziale
già, manca solo l’indirizzo
si sa solo che è di tale
insigne giurista >>
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<< Piange il salice
nel cerchio di cemento
cammina
con gli zoccoli del diavolo
l’uomo solitario
Il labbro ha sussurrato
sentenze di morte
nel mercato della vita
dura a morire >>.
Cresta denuncia qui – con epigrammatico lindore – la diserzione dell‟Umanità e della Natura che pervade la società , come quella attuale, ogni qualvolta si persegue la funzione a scapito dell‟essere. Il cemento armato e i finestroni di vetro di una villa, e i quattro pini geometrizzati trapiantati (e non piantati ) del giardino circostante sono divenuti l’essenziale, il nuovo paradigma di una vita edulcorata e deprivata di ogni imperfezione ( senza spine o erbacce) e relazione sociale ( manca solo l’indirizzo ). Ed anche la Legge, che è stato il massimo strumento di educata regolazione dei rapporti umani, è degradata a una etichetta di impersonale e vacua erudizione ( tale insigne giurista, l’uomo solitario il cui labbro ha sussurrato sentenze di morte ). Si sbaglierebbe, tuttavia, a ricondurre questi versi al corrivo e abusato schema dell‟impegno civile. Essi sono innervati dal furore della dissidenza nei riguardi del visibile, non già da insoddisfazione sociale. Mirano – da una prospettiva profana – a scardinare il mistero dell‟esistenza. La poesia – è stato detto – costituisce un atto sovversivo rispetto alla realtà così come appare.Insomma, una tensione verso la nudità.
La scrittura poetica del Nostro, oltre a essere irriverente, è perciò felicemente incontemporanea.
In Senza preludi Cresta si misura con il Tempo: decostruendolo, demistificandolo.
<< Senza preludi e presagi
specchi e orizzonti
la vita corre
su fili di paglia
pensieri sfumati
All’alba
ascolta il silenzio del tempo
crepa la terra fino all’ultimo grido
si tuffa nel fiume in piena
Ritrova lo scoglio già vinto. >>.
L‟alba non segna l‟inizio, bensì il silenzio del tempo. La vita corre ma ritrova lo scoglio già vinto. L‟acuto espressivo costringe il lettore a interrogarsi sulla natura soggettiva della dimensione temporale, che non è né lineare né progressiva né irreversibile .
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Le caustiche interrogazioni di Cresta pretendono – insolitamente – nuove domande o, meglio, pseudo-risposte del tipo concepito da Marguerite Yourcenar nel provocatorio componimento
Risposte: -Cosa hai per consolare la tomba,
Cuore sfacciato, cuore ribelle?
Il frutto maturo si appesantisce e cade.
Cosa hai per consolare la tomba? – Ho il tesoro di essere stato. -Cosa hai per sostenere la vita,
Cuore pazzesco, cuore stanco?
Cuore senza speranza, cuore senza invidia,
Cosa hai per sostenere la vita? -Pietà per ciò che deve passare. -Cos’hai per disprezzare gli uomini,
Cuore di ghiaccio, facile da spezzare il cuore?
Cos’hai per disprezzare gli uomini?
Cosa sei più di noi? -Capace di disprezzarmi.