Sarà presentato il 19 ottobre, alle 18, nella sala consiliare del Comune di Grottaminarda il volume del magistrato Matteo Zarrella “Albino. Una storia rigata di filo spinato”, edito da Delta 3. A portare i propri saluti Marcantonio Spera, sindaco di Grottaminarda e l’editore Silvio Sallicandro. Interverranno Angelico Carpinella, nipote di Albino, Pier Francesco Di Pietro, magistrato della Corte d’Appello di Napoli, Generoso Picone, giornalista.
Matteo Zarrella ricostruisce la storia di Albino Carbone, lo zio eroe, costretto a vivere sulla propria pelle la sofferenza dei lager, un inferno da cui non tornerà mai più. Un’immagine, quella di Albino, che campeggia “Nella casa dei nonni – scrive Zarrella – bene in vista nella cornice d’argento, nella stanza più bella della casa. Zio Albino compare in uniforme, con il berretto a visiera, con la bianca stelletta. Indossa con la divisa il prestigio dell’Esercito, l’orgoglio delle stellette, gli ammaestramenti d’Accademia: l’amore per la Patria e per la bandiera tricolore, l’onore del soldato, il prestigio dell’ufficiale”.
Una storia di sofferenza e sacrificio, quella di Albino che, come la maggior parte degli italiani, rifiuterà di unirsi alla SS e sarà condannato alla deportazione nei campi, stipato in un carro di bestiame. Sarà uno dei migliaia di prigionieri di guerra internati nei lager, per finire morente in un treno d’ospedale e approdare a Bergen Belsen. Una resistenza la sua sua che Zarrella definisce non meno eroica di quella armata.
“Nel lager di Biala Podlaska scrive Zarrella – Albino custodisce il suo No, come un giuramento sacro, raccogliendo tutte le forze possibili per poterlo rinnovare. Gli è dato, di riparo dal freddo, un pastrano e, in mancanza, il cappotto appartenuto a un russo morto di tifo petecchiale o ucciso dal colpo di sparo della sentinella appostata alla torretta. In 145 restano convinti del No”. Nel gennaio del 1944, per sparigliare il gruppo degli irriducibili di Biala Podlaska, il Commando tedesco decide il trasferimento di una parte di loro, tra questi Albino, nella Fortezza di Deblin: una costellazione di lager, capace di ingoiare centomila prigionieri. I tedeschi propongono agli IMI l’arruolamento al lavoro volontario in territorio italiano ma per Albino il rifiuto è l’unica scelta possibile.