Mancano tre giorni ai ballottaggi. I risultati del primo turno delle amministrative hanno delineato un profilo molto diverso rispetto a quello di un anno fa. A giugno del 2016 i cinque stelle festeggiavano le vittorie di Roma e Torino, ora si leccano le ferite di brucianti sconfitte come a Genova (città di Grillo) o a Parma (il comune dell’eretico Pizzarotti). Le sfide di domenica prossima hanno altri colori e somigliano a quelli del passato. Duelli in larga misura tra centrodestra e centrosinistra con le lancette dell’orologio tornate improvvisamente all’indietro.
C’è un ritorno alle coalizioni classiche che dal ’94 si danno battaglia e gli esclusi sono i cinque stelle. In realtà il movimento se è andato quasi sempre bene a livello nazionale, ha avuto seri problemi nei comuni perché non ha ancora una classe dirigente radicata. Certo il test è locale e con poco appeal nazionale ma la battuta d’ arresto dei grillini è significativa. Come scrive Stefano Folli “ è del tutto prematuro dedurre da questi dati che è cominciato il declino dei cinque stelle ma un movimento radicale e populista ha bisogno di continui rilanci nel favore popolare.
Un partito tradizionale, che vive di gestione del potere, può anche permettersi delle pause e dei passaggi a vuoto. Viceversa, per un movimento carismatico come quello che Grillo ha avuto l’ambizione di costruire, la crescita non può essere che continua. Quasi sempre la prima sconfitta segnala, se non altro, la fine della fase ascendente e la difficoltà di ripartire come se nulla fosse. Grillo paga per la prima volta i suoi errori. L’ultimo, aver dato la sua copertura al patto Renzi – Berlusconi sul falso modello tedesco. Un piccolo pasticcio parlamentare all’italiana da cui i Cinque Stelle sono usciti frastornati. E si capisce. Se si pretende la purezza, non si entra in certe combinazioni che hanno il sapore della casta secondo l’ambigua terminologia grillina”.
Dall’altro canto però è anche presto per dire che centrodestra e centro sinistra sono tornate a guidare la politica italiana. La prima ragione sta nel fatto che le due coalizioni esistono in molte realtà comunali ma non c’è al momento una corrispondenza nazionale. Sta meglio il centrodestra che appare più omogeneo ma è anche vero che Salvini e Berlusconi stanno insieme più per necessità che per convinzione. Il leader di Forza Italia non condivide la netta presa di distanza di Salvini dall’Europa, al contrario ci tiene a mantenere un rapporto solido con i popolari europei e l’ascesa di Tajani alla Presidenza del Parlamento europeo è un segnale di questa strategia.
Ma non solo, Berlusconi ha rigettato il modello maggioritario sulla nuova legge elettorale perché il proporzionale garantisce mani libere durante le elezioni e soprattutto dopo. Salvini invece è per un modello maggioritario che privilegi le coalizioni. Inoltre il leader leghista continua a sparare sull’euro e mette al centro della sua campagna elettorale il tema dell’immigrazione. Distanze programmatiche difficili da colmare con Forza Italia. Ma ancora più largo è il fossato che divide ilPD dalle altre forze di sinistra. Il quadro quasi unitario che emerge dalle amministrative è opposto a quello romano. Renzi ha aperto un confronto con Pisapia ma la porta per i bersaniani resta chiusa.
L’ex sindaco di Milano immagina un centrosinistra modello Ulivo o Unione ma Renzi ha già bocciato una coalizione troppo larga perché la ritiene inadatta per governare. Enon ha torto. L’ultima “Unione” prodiana andava da Turigliatto a Dini e dopo due anni di litigi il governo è caduto. Renzi e Berlusconi dunque possono godersi il piccolo tesoretto elettorale di queste amministrative ma i problemi ci sono e non si possono nascondere.
edito dal Quotidiano del Sud
di Andrea Covotta