«Il Puc di Atripalda, nonostante la “novità” del modello urbanistico della perequazione persegue le tradizionali finalità di valorizzazione del suolo per finalità edilizie. Infatti, viene interpretato un tema classico del diritto urbanistico, quello dell’inerenza dello ius aedificandi al diritto di proprietà, che si vuole risolvere ricorrendo allo strumento della perequazione, attuata però in modo parziale e orientata a produrre vantaggi ad alcuni proprietari dei suoli, ma non a tutti».
E’ il giudizio contenuto nelle conclusioni di un lavoro ben più articolato elaborato insieme all’architetto Nello Conte e fatto proprio dal Gruppo ABC, nelle Osservazioni al Piano urbanistico adottato dal Comune di Atripalda. Osservazioni che sono state illustrate al gruppo consiliare di Atripalda Futura e anche al Pd, Sinistra Italiana e associazioni sul territorio con le quali il gruppo Abc ha già avuto incontri programmati per definire un documento comune ai fini della presentazione delle osservazioni delle opposizioni alla Proposta di Piano Urbanistico Comunale già depositato. Osservazioni che sono state rese pubbliche durante l’incontro tenuto domenica mattina tra i gruppi consiliari di opposizione, il Pd e Sinistra Italiana.
Tornando alle conclusioni dell’architetto Conte, si legge: «Si pone allora il problema, estremamente complesso, di valutare l’adeguatezza dei meccanismi perequativi adottati, laddove vale la pena ricordare che l’idea di fondo della perequazione è che il valore economico del suolo dovrebbe essere uniforme su tutto il territorio e cioè indipendente dalla sua particolare destinazione urbanistica, in modo da rendere ciascun proprietario “indifferente” e quindi disinteressato al destino assegnato al proprio terreno. Ma questo ideale di giustizia distributiva è di difficile attuazione e, pertanto, la perequazione, laddove praticata in modo compensativo, ha funzionato attenuando le disparità col solo presupposto di una logica incrementale di urbanizzazione basata sul consumo di suolo.
Ciò che il Piano propone per Atripalda, dunque, è che l’antica città di Abellinum partorisca la “città moderna”. Una visione romantica quanto tragica se si considerano i rischi derivanti dalla mancata attuazione del comparto edificatorio e, comunque, più in generale, la crisi strutturale che a livello nazionale ha colpito il mercato immobiliare e delle costruzioni, con tanti vani invenduti e alloggi sfitti. Eppure, questo ideale romantico che usa la Cultura come driver di sviluppo è eticamente condivisibile e forse non richiede il sacrificio propiziatorio della conurbazione, se a bilanciare gli interessi in gioco si recuperasse un’altra componente identitaria degli atripaldesi: il Commercio.
Se il Piano individuasse un comparto alternativo che consentisse l’indifferenza localizzativa dei diritti edificatori, dando ai proprietari dei suoli la possibilità di scegliere dove fare atterrare la propria rendita (e in quali mercati immobiliari o iniziative d’impresa), esso sarebbe più prossimo alla giustizia distributiva. Se il Piano individuasse un luogo del commercio, ovvero un comparto urbanistico da riqualificare, per raggiungere gli obiettivi di valorizzazione del commercio in ambito urbano mediante un programma di “qualificazione” urbana che coinvolga i soggetti pubblici (ad esempio quelli titolari di un bene dismesso), gli operatori commerciali, i soggetti cedenti, gli operatori economici, forse Abellinum potrebbe diventare un brand del marketing territoriale. Se il Piano attivasse la finanza di progetto attorno ad un accordo di programma volto alla riqualificazione del dismesso distretto sanitario, immaginando un mix di social housing, coworking, servizi ambulatoriali per la terza età e servizi ai consumatori del commercio qualificato, probabilmente, l’identità cittadina compiutamente ritrovata, sublimerebbe la strategia di sviluppo necessaria a contrastare il declino della citta, preservandone le risorse, la vocazione e la storia».