E’ stata l’occasione per ribadire il valore di cui si carica la salvaguardia del patrimonio storico artistico del territorio il nuovo appuntamento di “Avellino letteraria”, tenutosi ieri presso la Sala Conferenze del Palazzo Vescovile, dedicato al volume di Teresa Colamarco “Il Complesso monumentale del Corpo di Cristo di Montoro”. E’ il vicesindaco Giovanni Gaeta, introdotto dalla direttrice artistica della rassegna Annamaria Picillo, a porre l’accento sull’impegno dell’amministrazione nella promozione di memoria e cultura, ricordando il valore di cui si carica il processo di unificazione di Montoro “Quando ci si unisce è sempre una vittoria”. Al professore Francesco Barra il compito di ricostruire la storia di Montoro “ha sempre rappresentato un’unica entità, storica, umana e urbanistica. Lo testimonia la centralità amministrativa e religiosa della realtà montorese, grazie ad una posizione strategica, nella conca di raccordo tra Irpinia e Salernitano, che la rendeva importantissima anche sul piano della viabilità. Basti pensare all’Acquedotto Augusteo che partiva dalle sorgenti di Serino e arrivava fino a Baia passando per Montoro”.
Barra ricorda come “Montoro è sempre stata una terra ricca di acque, tuttavia proprio la ricchezza delle acque, nel momento in cui è venuto meno il sistema di irrigementazione di epoca romana, ha finito per diventare una criticità. Ha finito con il cancellare le tracce della colonizzazione romana e per trasformare il territorio in un’area paludosa, tanto da costringere gli abitanti a rifugiarsi altrove”. Una storia, quella di Montoro, nata nel Medio Evo “Montoro, come rivela il nome stesso – prosegue Barra – era un centro fortificato dominato da un castrum che non era solo la sede del feudatario ma indicava una cinta urbana fortificata. Alla fine del Medio Evo, l’insediamento si sposterà a Valle, con la nascita di quello che è oggi Borgo di Montoro e dei numerosi casali. Ed è proprio questa l’identità peculiare di Montoro, esempio di un modello differente rispetto alle città del Nord, attraverso una complessa rete di nuclei sparsi che consentivano una migliore rispondenza degli spazi alle vocazioni ambientali. Sarà, poi, la nascita dei Comuni a frantumare la realtà ambientale, enfatizzando il concetto di autonomia municipale. Solo con l’avanzare dello spopolamento, emergerà l’esigenza di ricomporre l’unità dei territori in realtà sovracomunali, di qui l’unificazione delle due Montoro”. E’ quindi la storica Colamarco a ricostruire la storia del Complesso del Corpo di Cristo, sorto ai piedi del castello, nel sobborgo, che ospiterà nei secoli ben quattro enti religiosi. Una storia che si intreccia con quella del primo insediamento riguardante la chiesa di San Tommaso, donata nel 1179 da Romualdo II, arcivescovo di Salerno a Fulco, priore della casa giovannita di Capua. Saranno inizialmente i Cavalieri di Malta a fondare una Confraternita e la Cappella del Corpo di Cristo, affidandone la gestione ai monaci di Montevergine. Nascerà così nel 1577 il loro priorato, tanto da trasformare il complesso in una tappa fissa nei pellegrinaggi dedicati a Mamma Schiavona, un priorato che resisterà fino alle leggi di soppressione napoleoniche. Sarà, poi, la volta della Congrega del Rosario con la cappella ad essa collegata. Oggi il complesso è sede della parrocchia di San Leucio e San Pantaleone”. Ed è la stessa autrice a ribadire l’importanza di valorizzare appieno la struttura, destinandola anche ad usi civili. A coordinare il tavolo Daniela Apuzza. A impreziosire l’incontro le evocazioni sonore all’arpa’, affidate a Domenico Sodano.