E’ stata tra le grandi protagoniste della rinascita culturale di Avellino, per anni simbolo della Biblioteca Provinciale che aveva diretto con intelligenza e passione. Si è spenta all’età di 88 anni Annamaria Carpenito Vetrano, vedova dell’onorevole Stefano Vetrano. Il suo nome è legato per sempre a una stagione indimenticabile del capoluogo. Decisivo il suo contributo alla valorizzazione della Biblioteca e del suo ricco patrimonio documentario e librario, a partire dagli scritti di Francesco De Sanctis. Uno spazio frequentato da uomini come Carlo Muscetta e Attilio Marinari, diventato, sotto la sua direzione, autentico salotto letterario, laboratorio di ricerca e polo culturale, capace di accogliere rassegne, mostre e confronti con scrittori e critici letterari, mantenendo viva la memoria del passato. Tra le mostre, di particolare rilievo “La scienza e la vita. Autografi e libri della raccolta desanctisiana”, che aveva inaugurato le celebrazioni per il bicentenario della nascita di De Sanctis, curata insieme al professore Antonio Iermano con cui aveva stabilito un prezioso sodalizio. Studiosa attenta, credeva nel potere della cultura di trasformare la società ma era anche una donna di grande classe ed eleganza, un’intellettuale a tutto tondo. Impossibile non restare colpiti dal dinamismo di Annamaria Vetrano e dalla sua determinazione. Aveva collaborato al Corriere dell’Irpinia con preziosi articoli di approfondimento dedicati alla memoria del territorio.
Tra i primi a renderle omaggio il professore Antonio Iermano “Formidabile organizzatrice culturale, svecchiò le abitudini elitarie e fece del Palazzo di Corso Europa un punto stabile di riferimento per più generazioni di studenti e di studiosi. Il tutto secondo un principio di democrazia e di libera, moderna partecipazione”. Per la professoressa Giovanna Nicodemi “Era una istituzione, un monumento della cultura cittadina, di quella città “altra” di cui lei è stata un tassello e che continua a disgregarsi inesorabilmente, con queste”perdite” non più sostituibili”. “Sei stata una cara amica – scrive Liliana Urciuoli – conserverò di te il ricordo di una donna colta, intelligente ma soprattutto disponibile con tutti e di grande umanità che con grande affabilità accoglieva noi giovani studenti e ci suggerivi i libri da prendere in prestito. Eri sempre disponibile ed accogliente e un’esperta organizzatrice di eventi culturali di spessore che ci hanno arricchito e di cui sentiamo oggi la mancanza. L’Istituzione della Biblioteca con la tua direzione ha conosciuto un’epoca d’oro e sono certa che la Provincia saprà riconoscere i tuoi meriti per il lavoro svolto e in tua memoria intitolarti una sala o ancora meglio il Parco”. Omaggi che si affiancano a quello della Biblioteca Provinciale di Avellino che ha voluto ricordare la direttrice che l’ha guidata per trent’anni e dell‘Archivio di Stato di Avellino. A partecipare con commozione al dolore della famiglia anche il Presidente Luigi Fiorentino, il CdA e i collaboratori tutti del Centro di Ricerca Guido Dorso “E’ stata una protagonista della vita civile e culturale della città e indimenticabile guida, gentile e competente, della Biblioteca provinciale di Avellino. Il Centro Dorso, memore degli antichi legami di amicizia e collaborazione, radicati nell’idea di biblioteca quale centro propulsore di attività culturali e luogo di ideazione della cultura, ne ricorda con rimpianto il garbo e la squisita signorilità”. Per Luisa Bocciero è stata una “Pioniera della cultura in tempi assai difficili per la Provincia, una figura eroica, mi raccontava di quando girava per i paesini isolati dell’ Irpinia portando libri, che i giovani attendevano con entusiasmo. Quanta ricchezza ed esperienza perdiamo oggi”. Ai figli Rossana e Geppino e ai nipoti, in particolare al caro Stefano, giunga l’abbraccio del direttore Gianni Festa e della redazione. I funerali si terranno venerdì 21 febbraio, alle 15.30 nella chiesa di San Ciro.
Era stata lei stessa a raccontare sulle pagine del Corriere dell’Irpinia il legame con la Biblioteca Provinciale. Un documento prezioso che proponiamo di seguito:
Sono entrata giovanissima in biblioteca, non avevo ancora 19 anni nella antica sede ubicata nei locali di Palazzo Caracciolo allora sede del Tribunale. Locali angusti, dai soffitti altissimi, poco riscaldati. Precarie le condizioni di lavoro ma di altissimo spessore culturale i pochi frequentatori: il vecchio prof. Cannaviello, il fantasioso giornalista Alfonso Carpentieri, i giovani già noti professori Carlo Muscetta, Gennaro Savarese, Attilio Marinari, l’onorevole Fiorentino Sullo, il giudice Umberto Ferrante e insigni penalisti di quell ‘epoca. Ricoprivo un modesto incarico impiegatizio non avrei mai sperato di servire l’istituzione da direttrice e per così lungo tempo, di incontrare tante personalità della cultura, di incoraggiare generazioni di studenti che qui si sono formati, nei miei quarantaquattro anni dedicati ad una istituzione importante, particolarissima come può essere soltanto una grande biblioteca, in una piccola città di Provincia. A cento anni dalla sua nascita possiamo affermare, senza vacuità retoriche che la biblioteca provinciale di Avellino, deve a giusto titolo, essere riconosciuta come il luogo topico della cultura irpina. E questo in un duplice significato: come memoria in forma di scrittura dei momenti e delle figure prestigiose in cui la nostra comunità si è espressa, e come centro e realizzazione degli incontri più importanti e ricchi di risonanza. Gli studiosi, i ricercatori, con la loro assidua frequentazione hanno segnato il prestigio, la funzione alta che la Biblioteca è andata, negli anni, sempre più, assumendo. Studi, ricerche, libri di successo sono nati dal fecondo connubio tra l’intelligenza irpina e lo stimolo alla conoscenza e alla creatività promanante da una Biblioteca che, nel corso degli anni ha saputo costantemente aggiornarsi, ampliare il suo patrimonio, organizzarsi in modo tecnicamente efficiente, stringendo anche un rapporto più intenso e proficuo con le altre biblioteche e centri culturali italiani e stranieri. In questo contesto e da inserirsi l’inizio della collaborazione con l’Istituto Centrale del Catalogo Unico a Roma, per la sistemazione catalografica delle cinquecentine e dei nostri pregiati incunaboli (primi libri a stampa) sistemazione che divenne anch’ essa oggetto di una ben nota pubblicazione edita dall’ Amministrazione Provinciale curata dalla dott. Zappella e da chi vi parla per la illustrazione dei fondi.
La Biblioteca Provinciale entrò a far parte di una rete automatizzata che stava, in quel tempo, per costituirsi. Mi riferisco al progetto S.B.L. Sistema Beni Librari, inquadrato nell’ambito della legge 28.2.1986. Fu una delle sedi di quel progetto e con esso giunsero in Biblioteca i primi personal computer oggi, tecnologicamente superati, ma allora primo strumento automatico di catalogazione. Tanto tempo è passato, tutto è confluito nella nuova Mediateca, oggi fiore all’occhiello della nostra Biblioteca per quanto attiene al serVIZI culturali che essa quotidianamente offre alla utenza cittadina e provinciale. L’amore per la cultura e l’orgoglio intellettuale degli irpini hanno avuto parte non modesta nella costruzione di una Biblioteca apprezzata ben oltre i confini provinciali e regionali. I lasciti e le donazioni di patrimoni librari si pongono come testimonianza del legame affettivo verso la Biblioteca, da parte degli studiosi irpini che avevano trascorso una vita con i libri e vollero che essi fossero conservati con cura e riguardo a disposizione di chi mostrasse come loro affinità elettive ed inclinazione agli studi intensi ed approfonditi. Il pensiero va subito alla illustre famiglia Capone di Montella che con il dono di 30.000 volumi rese possibile l’apertura al pubblico nel 1913 di una Biblioteca Provinciale. I Capone storici botanici, glottologi raccolsero pazientemente 30 mila pregiatissimi volumi di agronomia e scienze affini curando, nel contempo, anche la raccolta di libri e opuscoli riguardanti il Mezzogiorno. Tante altre famiglie seguirono il loro esempio ne cito solo alcune, le più antiche: la famiglia Trevisani, Cocchia-Zozzoli, Modestino Del Balzo e tante altre; patrimoni immensi, giacimenti culturali notevoli tra i più importanti del Mezzogiorno, che hanno dato alla nostra Biblioteca una dimensione non localistica, una dimensione non solo regionale o nazionale ma anche internazionale.
Tanti affermo riferendomi alla prestigiosa Raccolta Desanctisiana. Essa risale ai primi anni ’40 del ‘900 e si costituì attraverso l’acquisizione di gran parte dei manoscritti ottenuti grazie all’intelligente e paziente mediazione di Salvatore Pescatore, primo direttore della Biblioteca, che noi consideriamo il fondatore della Biblioteca e all’autorità di Benedetto Croce che vide nella Biblioteca Provinciale di Avellino il luogo ideale di un rapporto organico tra il De Sanctis e la sua Provincia. Col tempo essa si è arricchita di materiali di vario tipo: manoscritti, opere a stampa, documenti, fotografie, manifesti, giornali, carteggi, relazioni, documenti, iconografici. E’ tutto questo un materiale di rilevante importanza bibliografica, come rilevante è il numero di prime edizioni di opere a stampa, contemporanee al De Sanctis, curate e ispirate da Benedetto Croce, e di edizioni curate da Nino Cortese, Luigi Russo, Carlo Muscetta, Attilio Marinari, Gennaro Savarese, Toni Iermano e altri studiosi contemporanei.
Anche di grande respiro è l’emeroteca Tozzoli che costituisce, per la sua rarità, un repertorio, direi unico, di testimonianza e cultura giornalistica tra ‘800 e ‘900 che permette una ricostruzione non parziale della storia culturale e politica del Mezzogiorno.
Non posso non menzionare la Donazione Del Balzo con la sua famosa Raccolta di 1000 autori intorno a Dante. Pochi istituti bibliografici posseggono un così cospicuo materiale bibliografico intorno alla vita e all’opera di Dante, con il suo fondo di manoscritti costituito dai suoi pregiatissimi autografi dello stesso Del Balzo, e poi di Verga, di Capuana, di Max Nordau, Matilde Serano e tanti altri protagonisti, tra i più importanti del ‘900 con i quali il Del Balzo ebbe lunga corrispondenza. Così come non posso non menzionare la donazione dell’indimenticabile contessa Maria Pironti che ebbi l’onore di conoscere e frequentare in più di otto anni di sincera e profonda amicizia. Maria Pia, nipote di Michele Pironti patriota e martire del Risorgimento nazionale, lasciò alla biblioteca e al Museo Irpino tutti i suoi averi, libri, quadri, cimeli di inestimabile valore, che richiamarono l’attenzione dell’emerito studioso onorevole Giovanni Spadolini, ospite di questa biblioteca in più di una occasione. Occorre anche porre in evidenza che la notevole fortuna della Biblioteca si deve anche, forse soprattutto, al valore professionale e culturale, alla serietà, all’amore per il proprio lavoro inteso quasi come forma di vita superiore, di cui hanno dato prova le eminenti figure intellettuali che si sono susseguite alla sua direzione.
Sto parlando di Salvatore Pescatore e Mario Sarro i due mitici direttori, il cui rispetto, in me e ancora vivissimo. Non ebbi mai l’immodestia di essere come loro, soltanto l’aspirazione a seguire la strada che essi avevano tracciato. Viva è ancora nella mia memoria la figura di Salvatore Pescatore. Modesto, affabile. Egli non amava ostentare il suo sapere, i suoi tantissimi pregi. Bastava, però, conversare un po’ con lui: la sua parola buona, sapiente ti conquistava per la mole di conoscenze che egli aveva. Pescatori restò sempre giovane, mentre del vecchio aveva la saggezza e l’esperienza, del giovane aveva conservato l’ardore e la passione per le nuove conoscenze. Non potrò mai dimenticare che nel momento critico della reggenza di questa Biblioteca creatosi per l’improvvisa e incurabile malattia che aveva pesantemente colpito il direttore Sarro, si fece pubblicamente propugnatore del giovane e, all’epoca, modestissimo mio nome per la reggenza. A lui io mi rivolsi in quel tormentato periodo, a Lui e alla sua guida rimasi legata fino alla sua morte. Dopo la morte di Pescatori, i problemi divennero di enorme gravità. Il trasferimento dalla vecchia alla nuova sede di oltre 250 mila volumi, con centinaia e centinaia di testate di periodici, l’arredo dei nuovi locali, la scarsezza del personale e soprattutto la sistemazione dei carteggi, dei preziosi manoscritti, nella vecchia sede, semplicemente elencati, mi fecero pensare ad una sorta di volontariato della cultura, alla formazione di un gruppo di studio costituito da persone esperte e competenti cui affidare l’arduo compito di aiutarmi nella sistemazione delle preziose carte. Il gruppo si formò subito come d’incanto offrendomi la possibilità di presentarmi in conferenza stampa con questo manifesto: “Il riordinamento dei manoscritti a cura del gruppo di lavoro per la pubblicazione dei materiali per una storia dell’Irpinia”.
In questo manifesto venivano elencati i lavori più urgenti da eseguire. Chi erano i componenti del gruppo? In primis Franco Barra punto di riferimento costante per la ricostruzione storica dell’Irpinia, poi il professor Cuozzo per i manoscritti Tozzoli Tafuri, Modestino Della Sala per le carte e manoscritti di Carlo Del Balzo, i professori Fausto Giordano e Mario Giordano che con la sua bellissima rivista “Riscontri” pubblicava e faceva conoscere ad un pubblico più vasto i risultati delle nostre ricerche e gli atti dei convegni che insieme organizzavamo.
Per il riordino dei giornali coinvolgemmo Nacchettino Aurigemma e Peppino Pisano, giornalisti che noi non abbiamo mai dimenticato. Sorretta e sostenuta da questo valido gruppo di studiosi, la biblioteca fece passi da gigante. Considerata una volta, tempio del libro, luogo sacro frequentato da cerchia ristretta di intellettuali, si proiettò ma mano nel sociale, legandosi alla vita della città, diventando familiare ai suoi abitanti. Noi abbiamo voluto proprio così questa biblioteca, allorquando assumendone la direzione non ci rassegnammo alla concezione “catastale” o di conservazione che di essa si aveva e che comunque la tagliava fuori dalla vita sociale così come veniva svolgendosi in quegli anni.
Aprimmo gli archivi, le segrete carte superando spesso la noiosa prassi burocratica, per creare quella disponibilità di accesso a fondi e manoscritti di notevole spessore e diffondere in tutti i modi l’informazione ad un pubblico più vasto. E quando pensammo al potenziale bacino di utenza, non ci limitammo al pur vasto ambito provinciale, ma tentammo di consegnare questo prezioso patrimonio cartaceo ad un pubblico di studiosi nazionali. Intanto, al gruppo di studio si aggiungeva il professor Iermano che da ragazzo frequentava e conosceva bene questa biblioteca. Con Iermano sistemammo definitivamente il fondo dei manoscritti De Sanctis, dopo il restauro delle carte gravemente danneggiate dall’usura e dal tempo, diventate in gran parte illeggibili, restauro lungo e laborioso che durò più di un anno, eseguito gratuitamente, per l’importanza e la rarità dei materiali, dall’Istituto di Patologia del Libro a Roma.
Con Iermano si creò un vero e proprio sodalizio culturale che terminò con il mio pensionamento. Al principio di ogni anno preparavano un palinsesto di manifestazioni, incontri, dibattiti, coinvolgendo le scuole con i loro presidi, le associazioni culturali della città e della provincia, le biblioteche comunali dell’intero territorio irpino. Si trattò di un lavoro di équipe che ebbe un riconosciuto successo. Tutto questo non sarebbe stato possibile se non avessi avuto il sostegno e l’aiuto del personale della Biblioteca, a volte anche quello del Museo, che pur nei ranghi di un organico insufficiente hanno inteso sempre la funzione di bibliotecari come vocazione e nobile privilegio.
Questo fiorire di incontri, servì a dare maggiore impulso, assiduità e continuità alle iniziative e ai momenti di riflessione e di confronto politico¬culturali delle cui parole il Salone “Guido Dorso” per decenni risuonò.
Convegni letterari e scientifici con ospiti dal nome celebre, mostre capaci di attrarre un pubblico vasto e qualificato, discussioni, dibattiti politici, approfondimenti su tematiche sociologiche, economiche e meridionalistiche hanno fatto sì che la Biblioteca si definisse come lo strumento grazie a cui l’Irpinia seppe elevare il tono e la qualità della vita dando ad essa senso e prospettiva”.