Giusto un mese fa squilla il telefono in redazione: “Ciao Gianni mio malgrado devo comunicarti che da questa settimana non invierò più il mio editoriale. Sono molto stanco, credimi non ci riesco”.
Il sangue mi si gela nelle vene, una forte emozione contenuta da un pudore misterioso mi stringe al cuore. E nella mente scorrono le immagini di Guido Bossa, Maestro del giornalismo, rubato alla vita nella sera di mercoledì scorso.
Guido era un galantuomo e tale è stato fino all’ultimo, con un coraggio da leone, nonostante l’età, e una forza di volontà impareggiabile. In una delle ultime telefonate, mi aveva raccontato di aver subìto una delicata operazione e, nonostante la lunga degenza, aveva spedito il suo editoriale, di mercoledì, puntuale come ogni settimana, in cui confessava di essere ricoverato al Policlinico Gemelli, proprio a qualche stanza da quella di Papa Francesco.
Ho riletto quel suo reportage e mi è venuta giù senza volerlo una lacrima d’addio. È passato più di mezzo secolo da quando io e Guido suggellammo una forte e solidale amicizia. Lui all’Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, poi al Giorno di Milano e, infine, ma non solo, editorialista del nostro Corriere dell’Irpinia sin dai primi numeri.
Questa nostra professione, con il tempo che va via, si trasforma in un’agenda fitta di ricordi, qualche volta strazianti. Memorie che nascono da una lunga condivisione di sentimenti e di affetti, di “bene comune” avrebbe detto Guido Bossa, cattolico a tutto tondo, una lunga encomiabile carriera durante la quale ha profuso il suo impegno anche per rappresentare la categoria dei giornalisti nel sindacato.
Quel che avrei voluto fare era un racconto vivo sulla nostra amicizia, ma ora è troppo doloroso per me. E allora vi propongo qui il suo ultimo reportage da cui emerge un grande giornalista e un lucido cattolico impegnato nel sociale.
Addio Guido, amico caro, grazie per esserci stato.